
Quanto terreno sta perdendo l’Isis in Siria e in Irak? Assai, a sentire la testimonianza del capo del Pentagono, Ashton Carter, davanti al Congresso Usa. Ma è proprio così? Calma e gesso. È vero che il “Califfo” è sulla difensiva su tutti i fronti, ma non è tutto oro quello che luce. Il capo di Stato maggiore americano, generale Joseph Dunford, ha ribadito che il vento sembra essere girato e che agli spietati terroristi, a volte, manca i terreno sotto i piedi.
Ma gli analisti predicano prudenza. Ad esempio, le unità irakene addestrate dagli Usa se la prendono con filosofia. Di conseguenza la loro avanzata in tutta la regione centrale del Paese avviene al rallentatore, tra mille timori. Le città prese di mira, Falluja e Hit su tutte, vengono accerchiate con estrema lentezza e avanzando alla moviola negli “outskirts”, nei sobborghi.
Insomma, par di capire, i governativi di Baghdad ci tengono alla pellaccia e, dunque, fanno un passo avanti e due indietro. E la dozzina di generali americani che dirigono le operazioni, consci che dietro ogni angolo potrebbe esserci qualche sgradita sorpresa, se la prendono comoda pure loro. Cos l’avanzata verso Mosul, ferma a 66 chilometri dalla città, metro più metro meno, sempre a 66 chilometri di distanza si trova. Nè la 91 Brigata di fanteria di Baghdad ha guadagnato terreno verso la località strategicamente importante di Makhmour.
Sette divisioni di Baghdad in fuga
E poi, al Pentagono si accontentano, nel senso che è meglio temporeggiare piuttosto che essere presi a sganassoni. Forse ricordano l’ultima “grande offensiva” del governo di Baghdad, quando la bellezza di ben sette divisioni dell’esercito si squagliarono come neve al sole ai primi botti. Bastarono alcuni colpi di marmitte sfiatate a provocare una ritirata generale, più o meno “strategica” quanto quella di una massa di bufali cafri terrorizzati. Alcuni consiglieri militari di Washington presenti, dissero che buona parte dell’esercito di Baghdad avrebbe potuto partecipare alle olimpiadi, tanto erano veloci quelli che scappavano.
Inutile dire che i “califfi”, dopo cotanta fuga di massa, si ritrovarono graziosamente disseminate sul terreno tonnellate di armi e munizioni. Nuove di zecca e “generosamente” offerte dai contribuenti Usa. Tra l’altro, una crisi politica in Irak è sempre dietro la porta, col primo ministro Haider al-Abadi pronto a richiamare le truppe di gran corsa a casa. Perchè, in ogni caso, Baghdad conta molto più di Mosul. Diversa la situazione in Siria. Ma là, si sa, comandano i russi. (p.o.)