La volpe Putin
e il dopo Siria segreto

Piaccia o non piaccia la persona o la sua politica o la sua Russia, Vladimir Putin è sicuramente il leader politico di maggior successo attualmente noto sul pianeta. Forse gli fa concorrenza soltanto Papa Francesco, ma su tutt’altro piano. Certo Putin non prenderà il Nobel per la pace assegnato ad Obama ma, altrettanto certo, non se ne addonterà più di tanto. La sua debole Russia strangolata dalla caduta del prezzo del petrolio che riesce ad imporre la sua politica al gigante Usa in Medio Oriente e riesce a suggerire nuove prudenze alla Nato nella sua espansione nell’est europeo.

Ancora una volta quella vecchia volpe ha colto tutti di sorpresa e dopo aver incassato il successo militare in sei mesi di operazioni militari spregiudicate in Siria, annuncia il ritiro di gran parte delle sue forze. Le tifoserie contrapposte sono scatenate sul bilancio finale: 9 mila missioni aeree di attacco (400 centri abitati e 3.800 miglia di territorio siriano riconquistati) e la sostanziale tenuta della tregua varata a fine febbraio tra le forze governative siriane e i ribelli non jihadisti.

Un collega ed amico che la Siria frequenta e segue da vicino, Cristiano Tinazzi, contesta. “I risultati non mi sembrano brillanti e senza supporto aereo russo i governativi riperderanno posizioni nei confronti dei ribelli. L’Isis è ancora lì, Palmira non è stata ripresa e la strada di collegamento verso Aleppo è talmente fragile da essere stata persa due volte nonostante il massiccio supporto aereo di Mosca”.

Valutazione spesso contrapposte.
Sconcerto e cautela soprattutto nel mondo arabo e in Occidente mentre analisti e osservatori si stanno chiedendo quali reali ragioni si celino dietro il ritiro che in ogni caso non sarà completo e non riguarderà gli strumenti di maggiore forza militare.
1. Soldi. Qualcuno ricordale difficoltà economiche della Russia che rendono non più sostenibile uno sforzo bellico che sembra avere costi di 8 milioni di dollari al giorno.
2. Lezione Afghanistan. Putin avrebbe mantenuto l’impegno per una campagna militare breve e ridotta con l’impiego di 5 mila militari, 50 aerei da combattimento e 20 elicotteri, qualche tank T-90, artiglieria e soprattutto forze speciali e consiglieri militari.
3. Accordi segreti. Altri osservatori sospettano un “accordo segreto” con Washington che coinvolga contropartite anche nella crisi in Ucraina e riguardo alle sanzioni economiche a Mosca.

L’impressione di analisti militari meno dietrologi è che il Cremlino possa rinunciare a una parte delle forze schierate in Siria grazie alla ristrutturazione delle forze di Damasco attuata con ingenti investimenti russi e dell’impiego di un buon numero di contractors e consiglieri militari.

A favore di questa tesi il punto tecnico militare:
a) l’esercito governativo siriano schiera nuovi blindati, artiglierie e i tank T-90;
b) l’aeronautica mal ridotta sino a ieri disporrebbe di almeno 130 Mig 23, Mig 29 e Sukhoi 24 dotati dotati di bombe guidate e missili;
c) le forze russe hanno rafforzato la loro tradizionale presenza nei ranghi dell’aeronautica siriana in termini di tecnici, consiglieri militari e, secondo indiscrezioni, persino di piloti.
Vuol dire che gran parte del lavoro effettuato finora dai cacciabombardieri con le insegne russe verrà probabilmente continuato dai velivoli con le insegne siriane.

Politica. Con il ritiro delle truppe Vladimir Putin lancia un messaggio molto concreto anche ad Assad, dopo che lo stesso aveva aveva affermato di voler riconquistare l’intero paese e di volere nuove elezioni in aprile. “Diamoci una calmata” sembra dire e tutti Putin, invitando i protagonisti
a definire concretamente una soluzione per la Siria, Assad compreso.

Siria federale. L’idea ormai non molto segreta è quella di una repubblica federale che otterrebbe di mantenere una Siria unita, indipendente e sovrana. Idealmente ineccepibile, concretamente contrastata da tanti contrapposti e poco nobili interessi. Una divisione su base etnico religiosa. I curdi nella striscia nord del paese, gli alawiti sulla costa occidentale e i sunniti a est. Soluzione già affacciata sul campo di battaglia. Col problema che lo Stato Islamico non si è affatto arreso, e c’è, e controlla ancora il territorio di mezza Siria.

Salvo (suggerimento di Gianandrea Gaiani su Analisi Difesa), un patto segreto tra Putin e Obama con l’impegno di spazzare via i jihadisti da Raqqa nel futuro prossimo. Il ministro della Difesa sostiene che sono stati uccisi 2 mila terroristi dell’Isis. E ora c’è chi prevede, «lo sforzo aereo della Russia può concentrarsi sull’Isis che entro dicembre questo cesserà di esistere». L’avanzata su Palmira delle truppe di Assad, sostenute dall’aviazione e dai consiglieri russi, appare come la prima mossa.

Mentre la diplomazia si prepara all’imminente visita a Mosca del re saudita Salman, molto interessato al florido mercato armiero della Russia. La Siria è stata un grande laboratorio dal vivo per una nuova generazione di sistemi d’arma made in Russia, che ora potranno essere perfezionati. Torneranno utili per la politica di potenza, ma anche per rilanciare l’export a più alto contenuto di tecnologia di cui dispone il Paese.

Nell’attesa, vale la pena andarsi a leggere l’analisi di Caroline Hayek, de L’Orient le Jour, Libano, riportata su Internazionale. La contestazione di ben quattro stereotipi sulla guerra in Siria: 1. La guerra in Siria è una guerra di religione. 2. L’obiettivo della guerra in Siria sono il gas e il petrolio. 3. La Siria è uno stato laico. 4. Lo Stato islamico è una creazione… Nulla da condividere in blocco, ma molto su cui ragionare. Ci ritorneremo.

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