
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’Ispi di Stoccolma, e Amnesty International insistono con rapporti e denunce su quanto avviene nello Yemen da marzo 2015 sotto attacco dell’Arabia Saudita.
Contabilità di un massacro
Il consiglio di sicurezza Onu elenca sistematici attacchi contro i civili documentando 119 casi di bombardamenti contro campi profughi, matrimoni, autobus, abitazioni, scuole, ospedali (130 fra i quali 4 cliniche dei Medici senza Frontiere), mercati, fabbriche e contro l’intero patrimonio storico-architettonico tra i più antichi del mondo islamico.
In un anno, la coalizione formata da 9 Paesi arabi sunniti e guidata da Riyadh, nella indifferenza della comunità internazionale, provoca oltre 7 mila vittime, 35 mila feriti e 2 milioni di sfollati con un altissimo numero di civili.
Obiettivo della coalizione è la minoranza dei ribelli Ansarullah – più noti come Houthi – sciiti, legati all’Iran e appoggiati dai fedeli del General People’s Congress dell’ex presidente yemenita Alì Abdullah Saleh.
Yemen nord-sud e promesse mancate
Ritenuti responsabili del colpo di Stato di febbraio 2015, gli Houthi, presenti soprattutto nel Nord del Paese, dopo l’elezione pilotata da sauditi e statunitensi del nuovo presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi, chiedono una presenza nella vita politica del Paese, sempre promessa da Saleh e mai concessa.
Lo stallo negoziale anche con il neo-eletto Hadi porta alla rivolta degli Houthi a Sana’a, la capitale, occupando istituzioni pubbliche per esercitare pressione sul presidente Hadi, che si rifugia prima in Arabia Saudita e a novembre ad Aden, nel Sud del Paese, eletta capitale provvisoria.
Per lo Yemen l’inizio dell’inferno.
La coalizione di 9 Paesi arabi, guidata da Riyadh con il tacito assenso della comunità internazionale avvia una guerra che ha diviso il Paese in due zone: quella Nord-Ovest, controllata dagli Houthi e dai fedeli dell’ex presidente Saleh, e quella Sud-Est protetta dalla coalizione saudita.
Arabia Saudita, medioevo atomico
Il rapporto dell’ISPI rileva come nell’ultimo quinquennio, l’Arabia Saudita risulti il secondo Paese importatore di armi dopo l’India e il primo acquirente di USA e U.K. dai quali acquista rispettivamente il 9,7% e il 46% delle esportazioni nel settore militare.
Dal 2011, sin dall’inizio delle ribellioni in Africa e Medio Oriente, i sauditi registrano un aumento del 27,5% negli armamenti in parte destinati alle milizie anti-Assad in Siria, e prevalentemente nello Yemen, in chiave anti-Houthi, ma soprattutto anti-Iran, ritenuto il mentore degli stessi.
Emerge anche che gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar hanno incrementato nello stesso periodo, rispettivamente del 35% e del 279% la spesa bellica.
Da un parallelo studio condotto da “ATT monitor” risulta che nel solo ultimo anno Riyadh acquista armamento per 25 miliardi di dollari.
Modello libico
In piena crisi umanitaria, più volte segnalata da Amnesty International, lo Yemen sembra avviarsi al caos, sul modello libico.
Ad Aden e anche nella centrale città di Taiz, la coalizione utilizza il supporto dei jihadisti di “Al Qaeda in the Arabian Peninsula” (AQAP), che controllano anche aree meridionali come Mukalla e distretti di Aden mentre in numerosi villaggi dell’Est di Aden hanno issato le loro bandiere nere.
L’attività di AQAP è mirata agli Houthi, che sono sciiti e, quindi, parte di quell’asse che con Iraq, Siria ed Hezb’Allah libanese sono considerati eretici dalle formazioni terroriste sunnite.
E’ presente anche Daesh-Isis i cui jihadisti hanno rivendicato: a dicembre 2015, l’uccisione del governatore di Aden, un capo militare del movimento secessionista del Sud e il leader di una milizia che combatte con le truppe governative.
Oltre alle formazioni jihadiste strutturate, sono presenti gli indipendentisti che reclamano la separazione del Sud dallo Yemen (il ritorno allo status del 1990), milizie tribali e gruppi armati.
Sunniti sciiti e interessi strategici
Gli interessi strategici di potenze regionali e internazionali (USA, U.K., Iran) alimentano di fatto il settarismo sciiti-sunniti, perché in realtà nello Yemen si combatte per colpire l’Iran. La difficile situazione yemenita è palese anche fra le potenze interessate come emerge durante il recente incontro fra il segretario di Stato USA, John Kerry, e il ministro degli esteri saudita, Adel Jubeir.
Solo un cenno sarebbe stato fatto sulla “possibilità di poter forse riprendere un dialogo produttivo con lo Yemen”, che pure si è dichiarato pronto a essere inserito nel Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar).
Preludio di un altro “failed State”, uno Stato fallito, un Non Stato?