
Sky News in Germania
Un archivio con 22.000 nomi e dati personali di presunti jihadisti dell’Isis originari di 51 Paesi è stato consegnato a Sky News da un sedicente pentito dell’organizzazione indicato col nome di facciata di Abu Ahmed. Si tratterebbe di formulari compilati da aspiranti adepti al momento dell’adesione, con numeri di telefono, indirizzi, contatti di famigliari. Secondo la tv, i file, memorizzati in una chiave usb, sono stati trafugati da un ex miliziano anti-Assad del cosiddetto Esercito siriano libero passato poi nelle file del Califfato e infine dichiaratosi «deluso» anche dall’Isis.
Molti dei nomi, secondo Sky News, sono noti, come quello di Abdel Bary, un rapper 26enne di Londra, che si è unito all’Isis nel 2013, dopo essere stato in Libia, Egitto e Turchia. E fra i nominativi anche jihadisti uccisi dai raid dei droni occidentali, come Junaid Hussain, 21enne hacker di Birmingham, che guidava il servizio informazioni e reclutamento dello Stato islamico in Siria. Lui e la moglie, Sally Jones, una ex punk del Kent che aveva scelto la via della jihad e si era trasferita in Medio Oriente, avevano pianificato attacchi terroristici nel Regno Unito. Un altro è Reyaad Khan di Cardiff, ucciso nel corso di un attacco mirato della Raf nell’agosto 2015. Alcuni dei numeri telefonici nelle liste sono ancora attivi e potrebbero essere utilizzati dagli stessi jihadisti. Fra i file raccolti uno si intitola ‘Martiri’ e conterrebbe i nomi dei kamikaze dell’Isis. Tra loro due hanno vissuto in Italia.
Un C-130 dell’Aeronautica militare per le salme di Failla e Piano. È atterrato all’aeroporto militare di Ciampino a mezzanotte e 40 minuti. Poi, sulla pista stessa, in un silenzio quasi irreale, la benedizione dei corpi degli uccisi. Nessuna voce, nessun grido ma un dolore contenuto da parte dei congiunti di Failla e Piano. Alla fine il sacerdote ha di nuovo benedetto i feretri e subito dopo i parenti dei due tecnici hanno deposto per l’ultima volta le mani sul legno delle due bare. Oggi, al policlinico Gemelli di Roma, i medici dell’Istituto di Medicina legale eseguiranno a loro volta gli accertamenti autoptici sul corpo di Failla e Piano dopo l’autopsia eseguita a Tripoli.
Nell’attesa della consegna dei corpi, tensioni tra Tripoli e Roma e il dolore non più contenuto dei familiari degli scomparsi. La moglie fa sentire voce Failla: «Ciao sono Salvo, i miei compagni li hanno portati via, io sono rimasto da solo e ho bisogno di cure mediche, ho bisogno di aiuto. Parla con giornali e tv, vedi di muovere tutto quello che puoi muovere”. Questo il disperato appello di Salvatore Failla, probabilmente registrato, che il 13 ottobre scorso la moglie del tecnico ascoltò al telefono dopo essere stata chiamata dai sequestratori. La donna poi chiese ai sequestratori di passargli il marito ma questi si rifiutarono. “Uno dei sequestratori mi chiamò e parlò in italiano”, ha detto la moglie di Failla.
Poi il rifiuto dei funerali Stato – “Non voglio funerali di Stato per mio marito”. Lo ha detto Rosalba Failla, vedova di Salvatore, durante una conferenza in cui ha espresso tutta la sua rabbia per l’andamento del caso e, da ultimo, per l’esecuzione dell’autopsia avvenuta in Libia. “Le ultime notizie su mio marito le ho avute oggi pomeriggio quando mi hanno detto dell’autopsia. Poi ho attaccato il telefono”. Quindi inadempiuta anche l’ultima invocazione della famiglia. Il legale dei Failla conferma: famiglia conferma: “C’è stata autopsia vera e propria, non un esame cadaverico esterno”.
Proprio sull’autopsia l’ultimo braccio di ferro tra Roma e Tripoli. Le autorità libiche a imporsi con l’obiettivo di alzare la posta e ottenere un adeguato riconoscimento politico da un Paese che, come il resto della comunità occidentale, finora ha riconosciuto il Parlamento di Tobruk come interlocutore. Che le trattative siano stato particolarmente dure tra la delegazione giunta da Roma ed i libici lo rivela la stessa Rosalba Failla, raccontando che i rappresentanti italiani «sono stati costretti a dargli i corpi per l’autopsia perché gli hanno puntato un’arma alla testa».
Gentiloni pompiere, parlando al Senato, nella commedia delle parti sull’intervento in Libia. ‘L’Italia non vuole avventure inutili in Libia, comunque deciderà il parlamento, non è stato pagato alcun riscatto’, e questa volta sembra essere vero. Nel sequestro dei 4 italiani in Libia “non sono mai emersi elementi di riconducibilità di formazioni di Daesh in Libia. Non è mai giunta alcuna rivendicazione. L’ipotesi più accreditata è quella di un gruppo criminale filo-islamico operante tra Mellita, Zuwara e Sabrata”, ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni al Senato. Per i quattro italiani rapiti in Libia “non è stato pagato alcun riscatto”, ha precisato.