La guerra di Libia è già in corso ma nessuno lo dice
La guerra di Libia è già in corso ma nessuno lo dice

La guerra di Libia è già in corso ma nessuno lo dice

L’uccisione dei due tecnici italiani Fausto Piano e Salvatore Failla rende più facile la  partecipazione italiana all’intervento militare in Libia di fatto già decisa, con qualche incertezza ancora sugli schieramenti: assieme a chi e contro di chi. Ufficialmente contro Isis, e per il momento prendiamolo per buono senza mettere nel conto altri obiettivi che ci sono. L’Occidente spinge per un governo unitario che dovrà chiedere l’intervento occidentale: su quanto l’intervento sarà diretto, ancora si litiga e Tripoli ammonisce Roma. I nostri Servizi segreti sono da tempo sul campo, come tanti altri: ora con decreto secretato Renzi invia sul campo forze speciali a sostegno. Braccio armato dei Servizi per operazioni mirate, tipo liberazione di ostaggi ad esempio, e non altre scemenze tipo il comando dell’intervento in Libia all’Aise.

Ma siamo sicuri che tutti i principali alleati stiano preparando la stessa guerra? Come nel precedente intervento, 2011, ci sono rivalità rischiose fra gli alleati. Sembra di capire che il governo italiano stia provando a trattenere gli alleati dall’intervenire con troppo anticipo in Libia, ma non sempre essere la linea vincente. I segni della guerra sono ormai evidenti e le operazioni sono partite. Vedi il raid con droni Usa su Sabratha dove rimasero uccisi due ostaggi serbi nelle mani di Isis. Lunedi la portaerei francese Charles de Gaulle ha lasciato il Golfo Persico dopo due mesi e 370 voli di attacco e di ricognizione in Iraq contro lo Stato islamico. Gli esperti si aspettano che si sposti davanti alla Libia per una missione uguale. Utile ricordare che il 19 dicembre, pochi giorni dopo il massacro di Parigi, i jet della portaerei passarono in ricognizione sopra Sirte, capitale dello Stato islamico in Libia.

In realtà quella in Libia è una campagna in corso, guerra a bassa intensità e mista, tra fazioni locali e militari occidentali. In una confusione pericolosa. Ad esempio, domenica un attacco di aerei non identificati avrebbe colpito un convoglio Isis a Bani Walid, a sud. Bersagli probabili uomini dell’Islamic State in fuga da Sabratha verso Sirte per sottrarsi ad imminenti raid aerei. Qualcosa di simile potrebbe aver provocato la morte dei due ostaggi italiani. Secondo il Sunday Telegraph, forze speciali inglesi sono a Misurata, la città libica più vicina a Sirte, per organizzare “cellule anti Stato islamico”. Venerdì, un video di pochi secondi messo su internet dallo Stato islamico ha mostrato la sagoma di un aereo spia americano volare sopra Bengasi assieme a un elicottero del generale Haftar.

Sul Foglio si leggono molti maliziosi collegamenti: forze speciali francesi con le forze di Haftar; francesi, inglesi e americani (gli italiani?) che hanno allestito un comando unificato nel vicino aeroporto militare di Benina. Venerdì 19 -già detto- due aerei americani hanno compiuto un raid aereo contro una villa di Sabratha occupata dallo Stato islamico. Anche in quel caso un ruolo dei francesi: le Monde rivela che, a novembre, per uccidere il capo di tutto lo Stato islamico in Libia, l’emiro iracheno al Qahtani, le informazioni per il raid aereo partirono da Parigi. Gli F-15 partirono invece dalla base Raf di Lakenheat, nel Suffolk inglese. Una triangolazione di uomini e mezzi in cui l’Italia non figura. Si interviene senza annunciare, si mandano forze speciali ad acquisire vantaggi strategici e soltanto dopo si parlerà di guerra e solo se costretti.

Siamo in guerra e nessuno ce lo dice? Quando la guerra diventa inevitabile e quasi giusta? Quando inizia troppo presto o troppo tardi? I sostenitori dell’intervento subito citano il raid aereo americano su Sabratha. Secondo confessioni estorte, Isis stava per attaccare Ben Guardane, una città tunisina vicina. Guerra subito, guerra con calma e prudenza? Gli americani danno ragione all’Italia a parole ma scelgono di intervenire contro lo Stato islamico a prescindere dalle alchimie del governo unitario libico. Rischio, lo avevamo già denunciato, quello di spingere forze libiche orfane di Gheddafi, o comunque kabile non schierate con Tripoli o Tobruk, tra le braccia di Isis. Un bis del catastrofico errore americano in Iraq con le tribù sunnite vicine a Saddam. Insomma, Sirte deve essere liberata dai libici.

Ma il tempo corre veloce. L’Italia si dice pronta ma la condizione è la richiesta del governo libico. Procedura al rallentatore. Per altri governi occidentali non si può aspettare oltre, e per conto loro cercano di procurarsi posizioni di vantaggio, perché all’interno della Coalizione -sia chiaro da subito- ci sono interessi nazionali divergenti. Primi fra tutti gli interessi petroliferi. Lo scorso anno un articolo al veleno del Wall Street Journal chiedeva: com’è possibile che tutti si siano dovuti ritirare dalla Libia per ragioni di sicurezza tranne Eni? Conclusione: in Libia sono in corso tante e diverse guerre combattute tra tanti e diversi protagonisti e con tanti e diversi obiettivi. E, sul fronte italiano, con la prime vittime sul campo: i poveri Salvatore Failla e Fausto Piano.

Tags: intervento
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