Vigilia di voto in Iran, la teocrazia alla sfida con la modernità
Specificità costituzionali nella teocrazia iraniana difficili persino da spiegare. Duello politico molto felpato tra la Guida Suprema religiosa dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, e il presidente della Repubblica, Hassan Rohani, per il voto del nuovo Parlamento, il Majlis, di questo venerdì di fine febbraio.
Khamenei, sulla carta una figura ‘super partes’, la Suprema Guida religiosa a cui però fa riferimento il blocco conservatore-fondamentalista, ha fatto un dettagliato elenco di qualità che dovrà avere la prossima assemblea legislativa. E tra le tante, anche la capacità di ‘non farsi intimidire dagli Stati Uniti’.
La risposta di Rohani in forma indiretta: il presidente ha polemizzato contro chi vede dietro ogni angolo, ed anche al voto per il Majlis, interferenze straniere. ‘Dovete smettere di esagerare l’influenza delle vecchie, obsolete potenze coloniali, sottostimando la nazione iraniana. State facendo un errore’.
La politica iraniana, più che da partiti politici intesi all’occidentale, si articola in aggregazioni diverse. L’ala conservatrice, i deputati vicini ai Pasdaran, i Guardiani della Rivoluzione, detentori di potere economico oltre che militare attraverso il sistema delle fondazioni, e i riformisti dell’attuale presidente Rohani.
L’accorso sul nucleare con l’Occidente il passaggio elettorale chiave. Intesa malvista negli Usa dai repubblicani come in Iran dai conservatori. Formazione pro-Rohani, è la ‘List of Hope’, tra moderati e riformisti. Il principale gruppo conservatore è guidato dal genero della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamanei.
Per la prima volta si voterà nello stesso giorno anche per la potente Assemblea degli Esperti: 88 esperti religiosi, che ha il potere di nominare la Guida Suprema. Una sorta di ‘Conclave’ con poteri molto laici, visto il ruolo di arbitro al disopra dello stesso presidente delle Repubblica attribuito al ‘Papa’ sciita iraniano.
Per molti esperti sarà proprio il voto sugli Esperti il passaggio decisivo vero il cambiamento. Pesa l’età avanzata dell’ayatollah Ali Khamenei, e che fa apparire la sua sostituzione sempre più reale. Un consiglio degli esperti con la presenza di ultra-conservatori limitata è l’unico modo per sperare in un reale cambiamento.
La Repubblica islamica che pure si basa su alcune strutture democratiche, è di fatto governata dalla Guida Suprema e dalle persone a lui vicine. Le speranze dei riformisti si concentrano sulla lista dall’ayatollah Rafsanjani, in passato vicinissimo a Khamenei ma escluso dall’ultima corsa alla presidenza perché ‘troppo vecchio’.
Nella lista alcuni moderati quali Rohani, l’ex ministro dell’intelligence Dorri-Najafabadi e il suo omologo attuale Mahmoud Alavi. Grande escluso dalla corsa è Hassan Khomeini, nipote del leader della Rivoluzione islamica che si trovava proprio nella lista di Rafsanjani. Dall’altro lato formazioni in salsa conservatrice.
Il rigido Consiglio dei Guardiani, nominato dalla Guida Suprema e dal parlamento a trazione conservatrice, è riuscito a ottenere liste favorevoli bloccando centinaia di candidature riformiste. I pochi che sono riusciti a entrare nella corsa, rappresentano solo il 10 per cento dei candidati in lizza: circa 200 su 6.200 autorizzati.
Ago della bilancia di questa elezione parlamentare è sicuramente il sostegno al presidente Rohani. Un conservatore moderato che, al voto presidenziale del 2013 era riuscito a raccogliere su di se il sostegno dei riformisti, in precedenza decimati dalla dura repressione alle proteste contro brogli di Mahmud Ahmadinejad.
Partita non facile. Se internazionalmente la situazione della Repubblica Islamica è notevolmente cambiata dalla firma dell’accordo sul nucleare, restano molte criticità in casa. La stretta sulle libertà personali e sui diritti umani, crescita e occupazione, un mercato da riformare per avere investimenti stranieri nel paese.
Il monopolio conservatore. 260 attuali deputati su 290: di questi, 60 appartengono all’ala più dura del movimento, quello che si oppone all’accordo sul nucleare e che presagisce una rinata ‘schiavitù dell’Iran’ sotto l’Occidente. La stampa iraniana allineata sta rilanciando appelli alla ‘dignità e potere della Repubblica islamica’.
La stampa conservatrice, per squalificare i riformisti, ha puntato contro l’emittente britannica BBC, che opera in Iran con un un portale in lingua farsi, rea di sostenere i candidati riformisti, definiti con il termine offensivo di“filo-britannici” dai loro detrattori. Accusa a BBC i Gran Bretagna, ‘seminare conflitti e creare divisioni’.
La BBC è ricordata anche come parte delle manifestazioni dell’Onda Verde, le proteste del 2009 contro brogli pro Ahmadinejad, quando, accusa Khorasan, contribuì ad avviare proteste e fomentare disordini’. E i media delle ‘vecchie potenze coloniali’ descritti come artiglieria del sistema contro di loro, ‘correnti rivoluzionarie’.