
da Mosca
Dal 2010 fino al gennaio del 2014, Nikolay Azarov è stato il Primo Ministro dell’Ucraina. Ma anche il leader del Partito delle Regioni, che fino ai giorni di Maidan era stata la prima forza parlamentare alla Rada, il Parlamento di Kiev. Da due anni, Azarov vive in esilio a Mosca. Oggi, per la prima volta, racconta la sua versione dei fatti.
«Il 28 gennaio del 2014, decisi di dimettermi dall’incarico. Lo feci per facilitare un compromesso pacifico, per far sì che si formasse un governo di cui facessero parte anche esponenti dell’opposizione. Ma posi una sola condizione: che da Kiev venissero allontanate, subito, tutte le milizie. In quei giorni, in città c’erano almeno 3.mila uomini armati, perfettamente addestrati e pronti a un colpo di Stato. Avevano già occupato tutti i punti-chiave. In questo, già sapevamo per certo che gli americani erano direttamente coinvolti: a partire dal vice-presidente americano Joe Biden, ma anche il vice-Segretario di Stato, e lo stesso ambasciatore americano… Incontri, telefonate quotidiane, e vere e proprie istruzioni impartite ai leader di Maidan. Le loro pressioni erano fortissime… Per questo motivo dissi al Presidente Yanukovich: “Viktor, è inutile che tu continui a trattare con l’opposizione. Vai a parlare direttamente con gli americani!”. Lui promise che lo avrebbe fatto, che le milizie armate sarebbero uscite da Kiev e che lui avrebbe nominato un nuovo governo. A quel punto, mi dimisi ufficialmente. Ma i miliziani armati non andarono via. Anzi: pretesero le dimissioni immediate del Presidente. Da quel momento, e per 3 settimane, mi occupai del partito. Fino al giorno in cui furono occupati con le armi tutti i palazzi del potere. Il presidente fu costretto a fuggire. Io feci andar via mia moglie, sotto scorta, verso Donetsk. Ma una delle due auto fu colpita e prese fuoco. Riuscirono comunque a portarla in salvo. Io capii che mi stavano cercando, e che rimanere a Kiev era troppo pericoloso. Mi fu dato un aereo per andare a Kharkov. Sapevo che lì doveva recarsi anche il presidente, col quale avremmo deciso cosa fare».
Perché proprio Kharkov…?
«Perché, proprio a Kharkov, Yanukovich avrebbe dovuto incontrare i governatori delle regioni del sud-est e lì avrebbe denunciato il colpo di Stato, dichiarando che avrebbe guidato la resistenza delle istituzioni contro i golpisti. Mi illudevo che, a quel punto, all’opposizione non sarebbe rimasta altra opzione se non quella di negoziare un compromesso. Invece, appena scesi dall’aereo, mi fu detto che il Presidente non sarebbe venuto a Kharkov e che era già a Donetsk. In effetti, in città stava arrivando un grosso contingente di miliziani con l’intento di catturarlo. Non mi rimase che lasciare l’Ucraina per rifugiarmi, con mia moglie, qui in Russia».
Lei continua a parlare di colpo di Stato…
«Assolutamente. Il classico scenario di un colpo di Stato. Già nel 2013 conoscevamo i loro piani; già eravamo al corrente di numerosi campi di addestramento, nelle regioni di Ivano-Frankovsk e di Ternopol’, ma anche in Polonia e in Lituania… La Sicurezza di Stato ci aveva informati… Io stesso ne avevo parlato più volte col Presidente. Ma lui, ogni volta, mi ripeteva di stare tranquillo, che tutto era sotto controllo… Il colpo di Stato entrò nella fase operativa a partire dal momento in cui Yanukovich decise di non firmare il Trattato di associazione all’Unione Europea. Da quel momento, a Maidan furono mandati, dietro compenso, determinati gruppi… Membri di movimenti nazionalisti: “Pravy Sektor”, “Svoboda”, ed altri… ».
Scusi, ma erano tutti pagati…?
«Pagati profumatamente erano tutti quelli che dormivano nelle tende, che avevano l’ordine di rimanere ad oltranza a Maidan. Poi, ovviamente, c’erano anche i curiosi, i simpatizzanti, quelli che –incitati dai social network, dalle radio e dalle TV- erano convinti di dover rovesciare un regime che consideravano criminale».
E chi pagava per tutto questo…?
«Gli oligarchi, e fra loro l’attuale presidente Poroshenko… Ma i soldi venivano anche dall’estero… Un fiume di denaro: decine di milioni di dollari… Dagli americani e dai polacchi…».
Ma se eravate al corrente di tutto, perché non lo avete denunciato? Perché non lo avete impedito?
«Non è vero che non fu fatto nulla… Ci provammo spesso. Ma, al contempo, capivamo benissimo che dietro Maidan c’erano forze disposte a provocare vittime, per poi denunciare il presidente, il governo… Ce lo fecero capire apertamente gli americani. Un giorno, il vice-presidente Joe Biden chiamò Yanukovich al telefono, per avvertirlo di non permettersi di ricorrere alla forza contro “pacifici manifestanti”. Proprio mentre in piazza venivano lanciate bottiglie molotov e venivano uccisi due poliziotti».
Quindi, lei afferma che si trattò di un vero e proprio complotto…
«Sì, un complotto per rovesciare il legittimo Presidente. Fra l’altro, alle elezioni presidenziali mancava solo un anno. Se gli elettori ucraini erano davvero insoddisfatti, di lì a poco avrebbero potuto sceglierne un presidente diverso… E invece, si aveva fretta di sbarazzarsi delle forze politiche che sostenevano l’equidistanza dell’Ucraina fra la Russia e l’Unione Europea. Il problema vero per i golpisti, e per i loro amici, era ed è la Russia, soltanto la Russia. A loro, dell’Ucraina non importa niente. Tant’è che, quando nel 2010 il mio governo decise che l’Ucraina sarebbe rimasta fuori da qualunque alleanza militare, né con la Russia né con la NATO, subito si guastarono le nostre relazioni con gli americani e con l’Unione Europea”. Per moltissimi anni, ho avuto a che fare con la Russia e conosco perfettamente gli interessi economici e strategici di Mosca, indipendentemente da chi sieda al Cremlino… Da secoli, la Russia cerca di allontanare da sé la minaccia dai propri confini, di avere attorno a sé Stati amici, che non siano per forza vassalli. E’ proprio per questo che la Russia ha tutto l’interesse ad avere un’Ucraina stabile, e forte economicamente».
Ma non sarebbe stato più facile per tutti garantire all’Ucraina lo status di neutralità, come fu fatto con l’Austria dopo la Seconda guerra Mondiale?
«Il problema è che si sono intromesse forze esterne. A cominciare dagli americani. E soprattutto, c’è che voi europei siete troppo deboli, non capite che è nel vostro stesso interesse avere buone relazioni con la Russia. Lo amava ripetere Charles de Gaulle, quando sognava di una Grande Europa, da Lisbona a Vladivostok. Il guaio è che oggi, in Europa, di leader politici come de Gaulle non se ne vedono più all’orizzonte. Non si adottano politiche di lungo termine, che tengano conto degli interessi reali dei cittadini europei. E si dimentica che la Russia è un paese europeo, che l’Ucraina è il cuore dell’Europa».
Marc Innaro, da Mosca