L’Egitto, le dittature e le ipocrisie di comodo

Dopo la tragica fine del giovane Giulio in Egitto, si moltiplicano le analisi sui rapporti dell’Italia (e dell’Occidente) con questo Paese, retto da un clone di Mubarak, il generale Al Sisi, arrivato al potere con un colpo di Stato da tutti salutato come una benedizione in quanto argine ai Fratelli Musulmani, in quanto attivo militarmente contro terroristi, in quanto ben visto da Israele.

Insomma la denuncia di un’ipocrisia, al pari di quelle seguite dopo la visita di Ruani: statue coperte e buoni affari, occhi chiusi sui diritti umani e esecuzioni capitali in Iran.
Ma anche le denunce dell’ipocrisia sono ipocrite, in quanto si continua a fare finta di non vedere la posta in gioco – la minaccia terroristica, l’espansione del Califfato, le ondate migratorie – e si continuano a mettere fra parentesi le cause e le responsabilità di questa situazione.

Quando poi l’ipocrisia diventa a senso unico c’è davvero da ridere, se non fosse per rispetto dei morti.
Sulla Siria e sul futuro di Assad si continuano a fare capriole diplomatiche per non ammettere che sarebbe meglio che stesse dove sta.
Sulla Russia e sull’embargo che devasta le nostre esportazioni, si continua a spargere sale, con la segreta speranza che tutto finisca in fretta e che Putin abbia successo nel lavoro sporco in Siria.

L’ultima ipocrisia appartiene ormai alla storia.
Abbiamo salutato con entusiasmo le primavere arabe e la caduta delle dittature, salvo abbandonare i movimenti democratici al loro destino e quindi sperare che i dittatori tornassero al loro posto, sanguinari e amici dell’Occidente, resuscitati o clonati come i generali d’Egitto.

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