
La vicenda della cessione da parte della Francia dell’attuale provincia di Hatay (l’antica Antiochia) alla Turchia è una delle tante vicende che si svolsero poco prima o poco dopo la Seconda guerra mondiale, ma che, di fronte alla magnitudine del conflitto che sconvolse l’Europa, rimasero a lungo praticamente sconosciute.
Come è noto dopo la Prima Guerra mondiale e il crollo dell’impero ottomano, Francia e Inghilterra se ne erano spartite equamente le spoglie: alla Francia era toccata la Siria e all’Inghilterra l’Irak, divisi da un confine tracciato grazie all’accordo Sykes-Picot.
A nord della Siria francese, affacciata direttamente sul Mediterraneo, la zona era chiamata sangiaccato di Alessandretta, abitato da una popolazione multietnica all’interno della quale i turchi rappresentavano all’incirca meno del quaranta per cento.
Prima della Prima Guerra mondiale nella provincia viveva anche una robusta comunità armena che in seguito al genocidio si era drasticamente ridotta, ma in ogni caso non si poteva parlare di maggioranza turca vera e propria, tanto più che esistevano comunità curde e turcomanne suddivise al loro interno tra sunniti o alawiti o tra sunniti e yezidi, circasse, maronite o greche ortodosse.
La questione era semmai di tipo linguistico, ma in questo le diverse comunità arabofone rappresentavano semmai la maggioranza assoluta rispetto la minoranza turcofona. Intorno al 1935 ad opera di un gruppo di intellettuali siriani, si iniziò a parlare di autonomia per la provincia che sin dal 1921 aveva goduto di uno statuto particolare.
Tra i nomi più in vista Zaki al-Arsuzi, padre del nazionalismo arabo e in seguito tra i fondatori del partito Ba’th, che difese prima l’autonomia e poi il carattere arabo di questa parte di Siria sotto mandato francese.
Quando fu indetto un referendum per la scelta dell’autonomia dalla Siria, il voto scelse naturalmente l’autogoverno, ma – poiché prima delle elezioni la Turchia aveva fatto affluire decine di migliaia di ‘votanti’ – il risultato fu in un certo senso scontato.
Tra il luglio e il settembre 1938 si svolse una prima fase in cui il territorio fu proclamato ‘stato di Hatay’ con il beneplacito della Società delle Nazioni e nel giugno del 1939 avvenne l’annessione del piccolo stato alla Turchia. La Francia – si disse – essendo impegnata nelle vicende europee era poco interessata al Medio oriente e infatti meno di tre mesi dopo sarebbe scoppiata la guerra.
Altri fecero notare invece che la Francia, temendo un ingresso in guerra della Turchia a fianco della Germania come era accaduto nel 1914, avesse deliberatamente ceduto la provincia ai turchi per ingraziarseli.
Se per gli arabi siriani fu solo una cocente delusione che andò a rinfocolare i sentimenti nazionalisti, per i pochi superstiti armeni del genocidio fu uno schiaffo doloroso per le memorie della persecuzione.
Il romanzo di Franz Werfel «I quaranta giorni del Mussa Dagh», pur essendo un’opera letteraria, aveva ricordato luoghi precisi dei massacri, a cominciare proprio dal monte e dai villaggi dove si era svolta l’epica resistenza nella provincia di Alessandretta. Stavolta non sarebbe arrivata nessuna nave francese a trarre in salvo i superstiti, ma gli armeni avrebbero lasciato lo stesso il paese da soli.