Libia: l’Isis quando serve, Servizi e interessi segreti

Sulla Libia diventa più facile l’ironia che il ragionamento. Anche perché di parole c’è lo spreco, tutto e il contrario di tutto, mentre di valutazioni convincenti vi è una drammatica penuria. Inoltre, tanti strateghi da comando e pochi volontari disposti a scendere davvero sul campo. Una guerra di intervento esterno che sembra lì lì per partire, domani o poco dopo, e che per fortuna non parte affatto. Anche perché, data la confusione di idee, strategie e obiettivi, l’intervento sarebbe catastrofe certa.

Due o tre questioni, dubbi da lettore su cosa sta realmente accadendo in Libia al netto di qualche avventatezza ministeriale diventata barzelletta. Esempio, ma quanti sono davvero questi dannati jihadisti in Libia? Tanto numerosi e tanto temibili? La stampa dà i numeri come per il lotto: si passa da un esercito pronto ad occupare il Vaticano, alla più credibile cifra di 2-3 mila miliziani asserragliati nei vecchi rifugi anti aerei di Gheddafi a Sirte, la città natale del despota. Elemento importante.

Ci affidiamo a dichiarazioni ministeriali che dovrebbero nascere dal lavoro di intelligence. Duemila, tremila uomini non sono molti, se non li fai crescere in casa. Certo, a Sirte sono ben protetti. Puoi bombardare quanto vuoi senza riuscire a scalfirli. Se li vuoi devi andare a stanarli. Combatterli e intrappolarli casa per casa, fortilizio dopo trincea perché non possano fuggire nei vicini Egitto o Tunisia. Ma chi si azzarda. Chi ha la volontà e la forza di farlo senza fare il bis della frittata anglo-francese 2011?

Secondo analisi di vari servizi segreti comparse sulla stampa, mettere piede militare oggi in Libia, sarebbe pura follia. Col rischio di suscitare una reazione nazionalista modello iracheno. Gli orfani di Saddam spinti tra le braccia dell’integralismo sunnita dagli errori Usa diventati gli strateghi del Califfo. In Libia i molti che piangono Gheddafi non sono ancora passati nelle fila di Daesh. Buon senso in campo occidentale suggerisce di far sì che siano gli stessi libici a decidere di spazzare via quei 2 mila scherani.

Immaginare Sirte liberata dal Daesh dagli uomini della tribù di Gheddafi. Idea affascinante e forse neppure troppo peregrina. Magari col sostegno delle vecchie milizie Tuareg da sempre utilizzate come milizia personale dal Rais. Ma qui il problema si complica, finendo dentro il calderone della tribù, le Kabile e i popoli della Libia. È uno dei problemi che tengono prigioniero dello stesso governo di unità nazionale che per il momento esiste e costa soltanto per le Nazioni unite e nostra diplomazia.

Ovunque stai, a qualcuno appartieni o obbedisci, è la logica nelle guerre civili. Memoria personale in Bosnia, Sarajevo assediata, nel mese massimo di resistenza in città prima di andare fuori di testa, e una settimana Pale con gli assedianti di Karadzic che fuori di zucca lo erano in partenza. Diversificare amici e sospetti. Cosa che suggerirei in un ipotetico corso di sopravvivenza giornalistica per la terza età. Ma può valere come approccio consigliato a chiunque in terra di bande armate deve operare.

Problema simile per il neonato governo di unità nazionale, fragilissima creatura Onu. Sulla base di quanto detto sopra, niente Tripoli sede di governo, o Tubruk, o Misurata, ma luogo nuovo, minore e neutrale, da inventare. Un centro nel sud del Paese, ad esempio, senza mettere il già fragile governo nelle mani di una fazione che potrebbe ricattare il governo o renderlo sospetto. Cercare una sorta di benedizione popolare attraverso le Kabile, i saggi delle tribù e popoli della Libia. Perché Gheddafi così fece.

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