C’ ERA UNA VOLTA
Islam e guerre jugoslave
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Da qualche giorno si sta commentando con apprensione la notizia della presenza di Isis nei Balcani mentre ritornano all’attenzione le vecchie storie degli anni Novanta sulla presenza di combattenti islamici stranieri soprattutto durante la guerra in Bosnia. Non è un mistero che ciò sia avvenuto realmente e non si tratta pertanto di una rivelazione straordinaria, ma nel clima di generale preoccupazione sembra si voglia pigiare l’acceleratore sulla notizia più recente a volte in maniera parziale e strumentale. Nel corso della guerra in Bosnia la presenza di combattenti stranieri ci fu: anche se non sempre salutata con il massimo entusiasmo da parte di tutti i bosniaci, fu tollerata per la necessità della Bosnia di difendersi e a guerra finita cominciò una campagna – anche sotto aperto auspicio occidentale – per favorirne il rientro.

 

La 'Brigata araba' dell'Armja bosniaca musulmana sfila a Zenica

La ‘Brigata araba’ dell’Armja bosniaca musulmana sfila a Zenica

 

Molto meno conosciuta è la vicenda della fornitura di armi, senza le quali i volontari islamici avrebbero potuto fare ben poco, perché la comunità internazionale aveva proclamato l’embargo ribadendolo più volte alle Nazioni Unite e nessun paese occidentale – almeno ufficialmente – intendeva violarlo. Dall’altra parte paesi come l’Iran o l’Arabia saudita intendevano invece sostenere i combattenti musulmani direttamente e non è affatto casuale che – proprio nel momento più acuto della battaglia per la sacca di Gorazde e mentre migliaia di mujaheddin di varie provenienze si trovavano già nel paese – l’Iran aprisse la propria rappresentanza diplomatica a Sarajevo nella primavera del 1994. Per una via molto tortuosa di lì a poco arrivarono anche le armi, ma non senza una benevola neutralità della diplomazia americana presente in loco che aveva ricevuto istruzioni precise direttamente dalla Casa Bianca di volgere lo sguardo altrove.

 

Esecutore e forse anche ideatore dell’operazione fu l’ambasciatore americano Galbraith che, sfruttando la mutata situazione dei rapporti tra Sarajevo e Zagabria e l’apprensione personale di Clinton sul futuro della Bosnia, riuscì a far arrivare nel massimo segreto in Croazia un carico di armi iraniane dirette in Bosnia ai primi di maggio del 1994. Nazioni Unite, Nato e altre potenze occidentali furono tenute all’oscuro: meno normale fu che anche la Cia, il Pentagono e il congresso degli Stati Uniti non fossero informati dell’operazione. Le complicate manovre non potevano tuttavia passare inosservate: accadde allora che funzionari della Cia – più abituati di altri ad interpretare segnali di manovre disinvolte e agli scandali che avevano scosso l’agenzia – mettessero in guardia le loro stesse autorità diplomatiche dal compiere azioni illegali.

 

I due presidenti a Sarajevo dopo l'assedio, 1996: il bosniaco Hizetbegovic e Bill Clinton

I due presidenti a Sarajevo dopo l’assedio, 1996: il bosniaco Alija Izetbegovic e Bill Clinton

 

Nel frattempo la comunità internazionale stava rendendosi conto che il peso dell’embargo ricadeva pesantemente sui bosniaci, di fatto gli unici a subirne le conseguenze. Ignari delle manovre in atto da parte dell’amministrazione Clinton, alcuni senatori dell’opposizione attaccarono pesantemente la politica presidenziale che ‘ufficialmente’ sosteneva l’embargo e perfino Margareth Tatcher dalle colonne del «New York Times» criticò la posizione Usa. I tempi erano ormai maturi perché a partire dallo stesso mese di maggio 1994 si sviluppassero contatti diretti anche tra Croazia e Iran e il governo di Tudjmann molto pragmaticamente – cioè in cambio di una percentuale del trenta per cento sulle transazioni – concesse il transito ai carichi diretti in Bosnia.

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