
È rimasta celebre la lettera che scrisse nel 1854 al Presidente degli Stati Uniti Franklin Pierce, da lui chiamato “Gran Capo di Washington” in cui esprime il proprio timore per l’intenzione del governo americano di acquistare il territorio della sua tribù, nella zona dell’odierna Seattle.
Questa la conclusione della lettera sulla cui autenticità sono sorti molti dubbi. Lettera che resta comunque una sorta di manifesto ambientalista e non soltanto.
« Insegnate ai vostri figli quello che noi abbiamo insegnato ai nostri: la terra è la madre di tutti noi. Tutto ciò che di buono arriva dalla terra arriva anche ai figli della terra. Se gli uomini sputano sulla terra, sputano su se stessi. Noi almeno sappiamo questo: la terra non appartiene all’uomo, bensì è l’uomo che appartiene alla terra. Questo noi lo sappiamo. Tutte le cose sono legate fra loro come il sangue che unisce i membri della stessa famiglia. Tutte le cose sono legate fra loro. Tutto ciò che si fa per la terra lo si fa per i suoi figli. Non è l’uomo che ha tessuto le trame della vita: egli ne è soltanto un filo. Tutto ciò che egli fa alla trama lo fa a se stesso. C’è una cosa che noi sappiamo e che forse l’uomo bianco scoprirà presto: il nostro Dio è lo stesso vostro Dio. Voi forse pensate che adesso lo possedete come volete possedere le nostre terre ma non lo potete. Egli è il Dio dell’uomo e la sua pietà è uguale per tutti: tanto per l’uomo bianco quanto per l’uomo rosso. Questa terra per lui è preziosa. Dov’è finito il bosco? È scomparso. Dov’è finita l’aquila? È scomparsa. È la fine della vita e l’inizio della sopravvivenza »
Si dice che il discorso di Capo Seattle sia una leggenda urbana. Citato da politici e personaggi di ogni genere dal principe Filippo d’Inghilterra a Bush padre a Gore e a Bill Gates entrato nel Libro Verde del governo canadese, trasformato nel “santo patrono” del movimento ecologista — e con qualche ragione dato che Seattle era cattolico – diventato un toponimo di quella città che ha visto nascere il cosiddetto Popolo di Seattle, il primo movimento no global, che assediava i vertici internazionali, Capo Seattle divenne una star dopo che un certo Ted Perry scrisse la sceneggiatura di un documentario ecologista prodotto per la TV da una chiesa protestante la Southern Baptist Convention (quella dell’ex presidente Clinton).
Michael Her Many Horses direttore esecutivo della tribù Oglala Sioux di Pine Ridge South Dakota ricordò bene quando dubitò del discorso di Capo Seattle trasmesso durante un documentario TV sulla foresta pluviale della Costa Nordovest: “Mi faceva sentire bene -rivelò a Newsweek – ma era troppo perfetto”. Mentre Ross Anderson del Seattle Times avvertiva che frasi diventate immortali come “La terra è nostra madre”, “Contaminate il vostro letto e una notte soffocherete nella vostra sporcizia”, stampate su milioni di poster e T-shirt oppure quel ricordo: “Ho visto migliaia di bisonti marcire sulla prateria abbandonati dall’uomo bianco che sparava loro da un treno di passaggio”, erano state inventate.
Sarà pure falso il discorso di Capo Seattle, ma l’inquinamento riempie le città rendendole ipertrofiche. E’ la sintesi amara e spietata dello sviluppo economico. “Io sono un uomo rosso e non capisco. Ma se noi vendiamo le nostre terre, voi dovrete ricordare che l’aria per noi è preziosa, che l’aria divide il suo spirito con tutti quelli che fa vivere”. Vero o falsa la lettera di Capo Seattle, significa perdere o vincere su un solo tavolo, significa, non nascondersi dietro le statue per non decidere.
Ma forse è perché siamo un po’ selvaggi, in minoranza d’accordo, che ci piace la lettera. L’aria è preziosa per l’uomo, giacché tutte le cose respirano con la stessa aria: le bestie, gli alberi, gli uomini tutti respirano la stesa aria. Alle scuole elementari lo insegnano, ma poi tutto si complica nelle caverne della civiltà industriale, il liberalismo è abile nel fornire regole deformanti,
Dopo secoli di progresso, in cui la crescita è stata la quintessenza stessa del senso della storia e delle speranze terrene, può sembrare impari pensare di “regredire”, cioè di invertire o almeno fermare la corsa, diventata autodistruttiva, (tutto è documentato l’effetto-serra, l’inquinamento, la deforestazione, l’invasione di composti chimici non più domabili… e un ulteriore lunghissimo elenco di ferite della biosfera e dell’umanità).
Ogni bene e ogni attività è trasformata in merce: si può comperare, vendere, affittare. Persino il sangue (dei vivi), gli organi (dei morti e dei vivi) e l’utero (per una gravidanza in “leasing”). Tutto è diventato fattibile: dal viaggio interplanetario alla perfezione omicida di Auschwitz, dalla neve artificiale alla costruzione e manipolazione arbitraria di vita in laboratorio. Che cosa resta da fare?
Ora che il veleno ha colorato acqua e aria, scopriamo che si è fatto ben poco. In questo paese da anni un piano serio per la mobilità nelle città, salvo qualche eccezione, non esiste, non si ha una pallida idea di come muovere milioni di persone. Lo si fa in modo arruffato. E si aspetta la pioggia. Teoricamente si è persuasi del disastro, ma si continua sulla strada classicamente italiota, perché il profitto, la ricchezza dei pochi è molto più importante della vita umana e del pianeta.
Ma l’autodistruzione non riesce pure a motivare i tanti automobilisti, deformati dalla grafia delle 4ruote, nel cambiare strada, piuttosto convivono con la mutilazione, sperano con la rabbia individuale di spostare un po’ più in là la resa dei conti.
Il patrono degli automobilisti pratica tassi di inquinamento altissimi, non serve raccomandare etica e rispetto per l’ambiente, si fa la politica delle cose non delle idee, fuck yourself, si rema con euforia incontro alle fucilate assassine del profitto arricchendone il carniere. Roba da matti, nessuno ha mai fiatato, forse il nostro pese è l’unico paese dove sempre al limite del paradosso ci si dimentica il problema subito il giorno dopo: insomma Pilato sempre: io me ne lavo le mani.