
Per la prima volta un tribunale internazionale porta alla sbarra degli imputati una multinazionale del petrolio, anche se ad inquinare è una sua società controllata. Secondo la Corte d’Appello dell’Aja, infatti, la compagnia olandese Royal Dutch Shell può essere ritenuta responsabile per lo sversamento di petrolio nel Delta del Niger causato nel 2008 dalla Shell Petroleum Developement Company of Nigeria Ltd (Spdc).
Una sentenza storica che suona come un avvertimento per le lobby petrolifere. Da oggi – riporta il Manifesto – esiste un precedente giurisdizionale che apre la strada ad altre richieste di risarcimento contro le multinazionali, indipendentemente da dove sia la sede legale delle loro controllate.
La Shell è ora obbligata a mettere nelle mani dei giudici tutti i documenti relativi al disastro del 2008. Il tribunale vuole vederci chiaro e stabilire se i vertici della società sapessero che cosa stesse avvenendo in Nigeria.
La controllata Spdc accusa subito il colpo: si dice amareggiata per la decisione dei magistrati. Avrebbe preferito che le controversie con i querelanti nigeriani si fossero risolte in un tribunale in Nigeria. Sarebbe stato più facile far passare gli sversamenti come azioni di sabotaggio, aggirando così le richieste di risarcimento? Può darsi.
Ma per ora la storia va diversamente, riconoscendo il diritto alla difesa per chi ha subito le conseguenze di un disastro ambientale senza precedenti. Una vittoria per le vittime e anche per le Ong impegnate nella difesa dei diritti. Secondo Friends of the Earth Netherlands – cofirmataria della denuncia fatta dai contadini nigeriani nel 2008 – la sentenza “è una vittoria importante, non solo per i contadini, ma in realtà per il popolo della Nigeria”.
IL DISASTRO
Nel 2008 due fuoriuscite di petrolio consecutive coinvolsero i 69.000 abitanti della città di Bodo, nel Delta del Niger. Terra e acqua della zona furono irrimediabilmente contaminate da entrambe le perdite, che proseguirono per settimane prima di essere fermate.
Incalcolabili i danni alla pesca e all’allevamento, che hanno causato a loro volta scarsità di cibo e aumento dei prezzi, oltre ai gravi danni alla salute. Molti giovani – riferisce Amnesty International – sono stati costretti d abbandonare le proprie case, andando a cercare lavoro nella capitale Port Harcourt a 50 chilometri dal disastro.
Secondo gli esperti ci vogliono 25 anni per tornare quasi alle condizioni ambientali prima del disastro. Ad oggi nessuna vera bonifica è stata ancora fatta.