C’ERA UNA VOLTA – Il gerarca Gelli a Cattaro e l’oro jugoslavo scomparso

1941, bombe naziste su Belgrado: convogli con oro, tesori della corona e soldi in fuga verso Cattaro. In Montenegro arrivano prima gli italiani. 60 tonnellate d’oro e la ‘caverna dei 7 ladroni’. Il fascista Licio Gelli e il finto treno ospedale col tesoro. Fine guerra, a Tito tornano solo 27 tonnellate

Alle 07.00 del 6 aprile 1941 la Luftwaffe iniziò a bombardare Belgrado. Proseguì con minore intensità per un paio di giorni perché l’obiettivo non era quello distruggerla completamente, ma piuttosto di non permettere al governo jugoslavo di coordinare la minima azione difensiva. Corte e governo furono costretti ad abbandonare la città prima per organizzare la difesa e poi – completamente accerchiati – a trovare scampo all’estero.

Situazione concitata e drammatica, ma non del tutto imprevista, perché – in accordo con gli inglesi – prima delle incursioni tedesche da Belgrado erano partiti diretti a Cattaro tre convogli di autocarri: uno trasportava le riserve auree della banca nazionale, un altro il tesoro della corona e il terzo contanti e altri oggetti preziosi di ministri e generali.

Se la situazione non fosse precipita così rapidamente, a Cattaro la Royal Navy avrebbe imbarcato re, ministri e tesori, ma l’esercito jugoslavo, attaccato anche da quello italiano e ungherese, si disgregò rapidamente.

Carta geografica dell'epoca. Il copertina la famiglia reale jugoslava

Carta geografica dell’epoca

Mentre gli italiani occupavano il Montenegro, nei pressi di Cattaro vennero così a trovarsi i tre convogli – giunti intatti dopo un viaggio movimentato i cui dettagli furono raccontati da Paolo Monelli in un memorabile articolo su «Il Corriere della Sera» del maggio 1941 – in pericolo di essere catturati. Il più consistente, l’oro della banca nazionale, era composto da casse di legno del peso di una cinquantina di chili ciascuna per un ammontare di circa sessanta tonnellate d’oro: ‘barbara reliquia’ finchè si vuole, come avrebbe detto J. M. Keynes, ma un gran bel tesoro lo stesso.

Oltre a questo, milioni di dinari ed altre valute trasportate dai notabili e il tesoro personale della corona composto da banconote in valute straniere, altro oro e gioielli. Nell’impossibilità di raggiungere la costa già occupata dagli italiani, si decise allora di nascondere i tre tesori in luoghi diversi: normale che ad ospitarne una parte fossero i sotterranei del monastero del patriarca Gavrilov, ma molto più curioso che una parte consistente finisse invece in una grotta tra le montagne conosciuta sin dai tempi ottomani come la caverna ‘dei sette ladroni’.

Royal crown of Yugoslavia

Royal crown of Yugoslavia

Impossibilitati a recuperare i tesori, gli jugoslavi decisero di occultare l’ingresso della caverna facendola saltare, ma ai contadini della zona non sfuggì che tra i sassi spiccavano invece banconote da mille dinari. L’andirivieni dalla zona non poteva passare inosservato e alla fine intervenne un pattuglione di carabinieri reali che sequestrò mazzette di banconote e fece infine piantonare tutta la zona. In breve la maggior parte dei tre tesori fu recuperata dagli italiani che – prima dell’intervento di un commando tedesco sul monte Ostrog il giorno 25 aprile che tuttavia si impossessò solo di poche briciole – ne misero in salvo la parte più consistente.

Casse di lingotti furono addirittura recuperate sotto il pelo dell’acqua di un pozzo nel cortile della casa di un pope oppure semplicemente ricomprate dai contadini con gli stessi dinari sequestrati in precedenza. La ricchezza circolò per un breve periodo in enorme quantità, ma sparì in modo altrettanto repentino, e – per non rivelare ai tedeschi che era caduta in mano italiana – la stampa nazionale non omise di parlare della tradizionale rapacità britannica per creare un articolato depistaggio.

I documenti di Gelli in Spagna tra le file dei franchisti

I documenti di Gelli in Spagna tra le file dei franchisti

Fu in questo contesto che fece la sua prima comparsa nella storia d’Italia Licio Gelli, all’epoca piccolo gerarca al seguito di Luigi Alzona, già federale di Pistoia, nominato prefetto di Cattaro. Dovendo trasportare nella massima segretezza l’oro in Italia, pare che l’idea di effettuare il trasporto con un treno camuffato da treno ospedale sia stata sua.

Un treno ospedale in tempo di guerra era del tutto normale e, diffondendo la notizia che il trasporto non era di di normali feriti, ma di infermi per una malattia contagiosa, si sarebbe stati certi che nessuno avrebbe ispezionato i vagoni. Lo stratagemma funzionò e risalendo la costa dalmata il convoglio arrivò a Trieste.

Oro ed altro furono spartiti e suddivisi in vari luoghi sicuri, tra cui anche il caveau della Banca d’Italia. Nel 1943 parte fini nelle mani dei tedeschi a Fortezza e quando fu infine ‘restituito’ alla Jugoslavia di Tito dopo la guerra le sessanta tonnellate erano diventate ventisette.

Tags: Jugoslavia
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro