
L’accordo sul clima è rinviato di un altro giorno. Il testo definitivo era atteso per venerdì 11 dicembre, ma i negoziatori non hanno ancora trovato una quadra. Restano aperti aspetti decisivi. “Preferiamo darci il tempo di consultare le delegazioni per tutta la giornata di oggi”, butta acqua sul fuoco un più diplomatico Laurent Fabius, ministro degli esteri francese, secondo cui “le cose vanno nel verso giusto”.
Ma è davvero così? Meno ottimisti sono gli esperti sul clima, secondo cui i nodi da sciogliere sono di rilevanza cruciale.
A chi tocca pagare di più per aver inquinato? Tutti i paesi sono egualmente responsabili per l’avvelenamento del pianeta? E quale deve essere il limite per l’innalzamento delle temperature terrestri? 2°C come chiedono i paesi industrializzati, o 1,5°C come vorrebbe invece una cordata di Stati – la nuova lobby green – tra cui molti in via di sviluppo?
Tre domande fondamentali per altrettanti aspetti decisici che fanno la differenza e alle quali la Conferenza di Parigi sul clima non ha ancora dato le risposte sperate. Un Cop21 in gran parte deludente, secondo movimenti ambientalisti ed esperti, convinti che con queste premesse le temperature del globo schizzeranno sopra i 3°C entro la fine del secolo. Con conseguenze ancora in parte imprevedibili, anche se disastrosamente immaginabili.
Più fiducioso è invece il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, secondo cui un accordo planetario sarebbe vicino.
Anche se gran parte degli aspetti determinanti restano ancora tra parentesi quadre, a rischio stralcio. O ridotti a meri enunciati di incoraggiamento, come le misure per fermare la deforestazione, oppure la “Giusta transazione” dedicata ai lavoratori, o ancora i diritti umani, che fino all’ultimo hanno occupato un posto da gregari nel preambolo alle trattative.
Il testo è passato dalla 43 pagine iniziali a 28 attuali. Tra parentesi resta il concetto della responsabilità comune per aver inquinato. Finora i paesi in via di sviluppo hanno goduto di uno status privilegiato perché hanno iniziato dopo ad avvelenare la terra. Che piega prenderanno i negoziati?
Nodo irrisolto anche sul meccanismo di “loss and damnage”, ovvero le compensazioni per perdite e danni irreversibili (come le migrazioni forzate) causati dall’inquinamento. Chi paga? Ci si aspetta un impegno maggiore dai paesi ricchi. Sarà così?
Niente, invece viene detto sullo stop dei sussidi ai combustibili fossili (chiesto addirittura anche dal Fmi) e per gli obbiettivi per le energie rinnovabili. Non è chiaro nemmeno a chi toccherà sborsare i maggiori contributi per mettere a riparo i paesi più esposti – e anche più poveri – ai catastrofici effetti dei cambiamenti climatici.
Un piccolo passo avanti invece arriva sul fronte della limitazione al riscaldamento globale. I negoziatori si impegnano – anche se ancora troppo genericamente – a restare “ben al di sotto dei 2 gradi”, ma con lo sforzo di restare anche sotto quota 1,5 gradi.
Nel 2023 è fissata invece la data per la prima revisione degli impegni nazionali. Troppo in là per capire se la strada è quella giusta ed eventualmente correggere la rotta. Ne sono convinte le Ong e molti funzionari di governo, che temono un annacquamento degli impegni.