Sul clima tutto il detto
e soprattutto il non detto

Barack Obama

 

 

Un colpo a sorpresa, clandestino, perché i simboli contano, ma la sicurezza impone le sue regole. Barack Obama, appena arrivato a Parigi, poco prima dell’una di mattina, ha fatto una sosta fuori programma davanti alla sala concerti del Bataclan, il teatro della strage del 13 novembre. Al suo fianco il presidente francese Francois Hollande Insieme ad Obama e Hollande, anche il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo.

 

 

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COS’È LA ‘COP21 DI PARIGI’?

 

La convenzione delle Nazioni Unite – edizione numero 21- è il principale trattato internazionale sul clima che riconosce l’esistenza di un cambiamento climatico causato dall’attività umana e attribuisce ai paesi industrializzati la responsabilità principale nella lotta contro questo fenomeno. Nata al summit di Rio de Janeiro nel 1992, la Convenzione è entrata in vigore nel 1994. È stata ratificata da 195 stati, a cui va aggiunta l’Unione europea.

 

Conferenza annuale durante il quale sono decisa le misure per rispettare gli obiettivi della lotta ai cambiamenti climatici. Le decisioni possono essere prese solo all’unanimità, o per consenso. Alla conferenza di Parigi previsti più di quarantamila partecipanti tra delegazioni dei 195 stati membri, rappresentanti della società civile, aziende, ong, istituzioni scientifiche, comunità territoriali, popoli autoctoni, e sindacati di tutto il mondo.

 

L’obiettivo della Cop21 è concludere il primo accordo universale e vincolante, applicabile a partire dal 2020 ai 195 paesi della convenzione.

 

 

 

DOPO KYOTO

 

La Cop21 rappresenta la fine dei negoziati seguiti all’impegno di Kyoto. Il protocollo aveva stabilito di ridurre le emissioni dei gas a effetto serra di almeno il 5 per cento rispetto ai livelli del 1990, tra il 2008 e il 2012.

 

Alcuni firmatari hanno rispettato gli impegni presi -tra cui l’Unione europea- ma altri grandi inquinatori no: gli Stati Uniti non hanno mai ratificato il trattato, Canada e Russia si sono ritirati, e la Cina, in cima alla lista mondiale per il volume di emissioni di gas serra, non aveva obblighi perché è considerata un paese in via di sviluppo.

 

Il protocollo di Kyoto, ormai superato, scadrà nel 2020 e dovrebbe essere sostituito da un nuovo testo, al centro della Cop21.

 

 

 

QUALI GLI OBIETTIVI?

 

L’obiettivo della Cop21 è concludere il primo accordo universale e vincolante, applicabile a partire dal 2020 per limitare l’aumento delle temperature a due gradi centigradi rispetto all’epoca pre-industriale.

 

Secondo le stime del Gruppo sul cambiamento climatico, la temperatura media della superficie della Terra e degli oceani è aumentata di 0,85 gradi tra il 1880 e il 2012, e a causa dell’aumento delle emissioni dovrebbe crescere ancora tra gli 0,3 e i 4,8 gradi entro il 2100.

Secondo gli scienziati, per avere un riscaldamento non superiore ai due gradi, bisognerà raggiungere la ‘neutralità carbonica’ -emissioni zero- al massimo entro la fine del secolo.

 

È inoltre necessario che la quantità accumulata di emissioni di CO2 d’origine umana non superi le 800 ‘gigatonnellate’ di carbonio. Dal 1870 gli uomini hanno già rilasciato 531 ‘gigatonnellate’ di carbonio nell’atmosfera.

 

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CON QUALI SOLDI?

 

L’accordo di Parigi dovrà stabilire anche il modo in cui la reazione al cambiamento climatico sarà finanziata. Alla conferenza di Copenaghen del 2009 i paesi sviluppati si sono impegnati a investire cento miliardi di dollari, provenienti da fondi pubblici e privati, per consentire ai paesi in via di sviluppo di lottare contro i rischi legati al clima e di impegnarsi a favore di uno sviluppo sostenibile.

 

Una parte di questi soldi devono arrivare dal Fondo verde per il clima, un meccanismo finanziario creato dall’Onu. Ma a giugno del 2015 solo 4 miliardi di dollari dei 10,2 promessi da una trentina di paesi per finanziare questo fondo erano stati sbloccati.

 

 

 

QUALI GLI OSTACOLI?

 

I principali punti di frizione riguardano la responsabilità storica del riscaldamento globale e la ripartizione degli obblighi. I paesi emergenti sostengono che la responsabilità sia soprattutto dei paesi industrializzati e si rifiutano di subire le stesse limitazioni. Da parte loro i paesi più ricchi sostengono che la divisione tra paesi industrializzati ed emergenti non è più valida.

 

Oggi la Cina è il primo inquinatore del mondo, l’India il terzo.

 

La posta in gioco dei negoziati è dunque limitare le emissioni di gas a effetto serra senza limitare il diritto allo sviluppo dei paesi emergenti. Un altro argomento delicato è la scelta dei meccanismi che consentono di verificare gli impegni degli stati in materia di lotta contro il riscaldamento globale. Come misurare gli sforzi compiuti? Quale ciclo immaginare per poter inquadrare l’accordo nel lungo periodo?

 

 

RETICENZE E INSENSIBILITÀ

 

Per concludere un buon accordo i negoziatori dovranno convincere gli stati più reticenti, come l’Australia. Dovranno inoltre tenere conto delle richieste degli stati insulari, più vulnerabili ai rischi climatici, che contestano la soglia dei due gradi centigradi e propongono di abbassarla a 1,5 gradi.

 

Infine ci sono gli Stati Uniti, che non vogliono un trattato vincolante dal punto di vista giuridico. La posizione del presidente Barack Obama e del Partito democratico, è dovuta al fatto che per approvare un accordo vincolante avrebbe bisogno del voto favorevole del senato statunitense, che è a maggioranza repubblicana.

 

 

 

CI SARÀ UN ACCORDO?

 

Al vertice del 2009 a Copenaghen i negoziatori si erano trovati davanti una bozza già preparata da approvare. La procedura fu un fallimento. In vista della conferenza di Parigi sono stati dati ai singoli stati nove mesi per presentare il loro impegno per la riduzione delle emissioni dei gas serra.

 

Ma l’analisi dei contributi noti finora ha rivelato che non saranno sufficienti per l’obiettivo dei due gradi. Propositi di limitare l’aumento delle temperature a circa 2,7 gradi entro il 2100. Ma non è assolutamente sufficiente, sostengono gli scienziati.

 

Secondo una stima del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, gli impegni degli stati si tradurranno in un aumento delle temperature di 3-3,5 gradi entro il 2100. Da catastrofe.

 

 

 

LA PAURA FARÀ 90

 

Ed allora la proposta di un accordo rivedibile a intervalli regolari, con possibili ritocchi al rialzo nella riduzione delle emissioni.

 

Insomma, contare sull’effetto paura che la successione dei disastri ambientali previsti potrà indurre nei governi più insensibili.

 

Se l’umanità sarà ancora in tempo.

 

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Tags: clima Cop
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