L’Isis minaccia
anche il clima

Altro strike dell’Isis a Parigi, dove le autorità hanno vietato la Marcia globale per il clima prevista per il 29 novembre. Ragioni di sicurezza, dice il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius, che ha ammesso di non poter garantire la sicurezza in piazza. Quindi niente corteo e conferenza Onu sul clima blindata. Gli 007 temono altri possibili attentati. Gli organizzatori delusi tentano una pallida polemica, ma si arrendono ai fatti.

 

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Questa è la prima rinuncia alla libertà di manifestare dopo le stragi parigine del 13 novembre. In futuro saranno cancellati altri cortei? Forse. Ma una cosa è certa: pallottole e bombe condizionano le abitudini delle persone. E non solo a Parigi o in Europa.

 

Ecco dunque che i combattenti del sedicente stato islamico – consapevoli o meno dell’importanza del Cop21 – rischiano con le loro azioni di oscurare i negoziati Onu sui cambiamenti climatici. La Conferenza mondiale sul clima (il Cop21 appunto) si apre il 30 novembre ed è il più importante evento sul tema. A Parigi si gioca il futuro ambientale del pianeta. Con pesanti ricadute economiche e politiche.

 

Tuttavia sono previsti altri 50 eventi nel resto del mondo tra il 28 e il 29 novembre. Il più grande sarà a Roma il 29. “La nostra voce non sarà silenziata dal governo francese”, dicono i responsabili della Coalizione climatica. “I nostri piani per Parigi devono cambiare, ma il movimento di giustizia climatica non rallenta”.

 

Terrorismo o no, l’aumento delle temperature globali riguarda tutti. Alluvioni, inondazioni, incendi devastanti, malattie da aria avvelenata, migrazioni forzate, aumento del costo del cibo e scarsità d’acqua sono tutte conseguenze più o meno vicine di quello che viene definito cambiamento climatico. Un nemico più minaccioso dello stesso terrorismo islamico, che sembra invece l’altra faccia della medaglia di un’economia basata sullo sfruttamento delle fonti fossili.

 

Ma veniamo agli impegni dei governi per contenere le emissioni di CO2. Ancora insufficienti secondo i responsabili Onu che hanno analizzato i piani degli Stati partecipanti. Per contenere l’aumento delle temperature entro i 2°C serve un ulteriore taglio delle emissioni di oltre 12 miliardi di tonnellate all’anno.

 

Obiettivo difficile da raggiungere con le attuali politiche energetiche e con le timide previsioni per il futuro. Sono le conclusioni dell’Emission Gap Report dell’Unep (United Nations Environment Programme).

 

Non aiuta ad esempio il via libera dell’Australia all’apertura della più grande miniera di carbone del Paese. A pieno regime inquinerà più dell’Austria o della Malesia, annullando gli impegni sul clima. Minacce per l’ambente arrivano anche dal Ttip, il trattato di libero scambio tra Europa e Stati Uniti, che non contempla meccanismi di protezione ambientale dalle aziende inquinanti.

 

Così come il veto Usa ad accordi vincolanti per la riduzione delle emissioni di CO2. Scordatevelo, ha detto il segretario di Stato americano Jonh Kerry. “Gli Stati Uniti non accetteranno nessun accordo legalmente vincolante in questo senso”.

 

E poi ci sono gli sbiaditi programmi per il clima – stilati dal Green Climate Fund dell’Onu – finanziati con pochi spiccioli dalle banche del carbone. Le stesse coinvolte nel riciclaggio di denaro e con stretti legami con l’industria del fossile. In particolare la svizzera HSBC, accusata di finanziare la deforestazione in Indonesia per favorire la produzione di olio di palma.

 

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Mentre al G20 in Turchia l’argomento “emissioni nette zero” ha rappresentato un modesto corollario ad un vertice che si è occupato più di Isis e di bombardamenti. Con Arabia Saudita e India restie ad affrontare il tema. Insomma, strada ancora in salita verso la lotta ai cambiamenti climatici.

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