
Gli Stati Uniti, di fronte alla incisività russa nelle azioni contro Isis e alla sostanziale impotenza della sua Coalizione aerea, starebbero valutando l’ipotesi di spostare le proprie truppe più vicine alla prima linea in Iraq e in Siria. Lo riferisce il Washington Post. Non è ancora chiaro quanti soldati Usa potrebbero essere spostati in prima linea, ma per ora si tratterebbe di un numero limitato di forze speciali per la prima volta sul terreno in Siria. Anche se, precisa il Wp, le truppe non avrebbero un ruolo diretto nei combattimenti.
Subito dopo aver ricevuto a Mosca Bashar a-Assad, il presidente russo stabilisce un accordo con gli statunitensi per la divisione dei settori operativi in Siria ed evitare possibili collisioni fra le rispettive forze aeree.
Contestualmente, Putin contatta il re saudita Salman bin Abdul Aziz e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che sembrano ora disposti ad accettare la presenza di Assad per un breve periodo di transizione.
In effetti, negli stessi giorni, l’allontanamento di Assad non è più una precondizione irrinunciabile, secondo l’intesa raggiunta da nove Paesi -Arabia Saudita, Emirati Arabi, Francia, Germania, Giordania, Gran Bretagna, Qatar, Turchia e USA- anche se limitata a un interim di 6 mesi senza poteri esecutivi né militari.
Anche Baghdad guarda a Mosca, con l’autorizzazione all’intervento russo contro IS per colpire con raid aerei i convogli dei jihadisti provenienti dalla Siria, grazie all’accordo di Cooperazione di Sicurezza fra Russia Iraq, Iran e Siria.
Autorizzazione che non era non scontata data la possibile ritorsione statunitense che, dopo aver speso oltre 20 miliardi di dollari nel corso dei 12 anni di guerra in Iraq, potrebbe ridurre i finanziamenti dal Fondo Monetario Internazionale.
Il premier iracheno al-Abadi ha il problema di un Paese controllato per 1/3 da IS. E sa che solo le milizie sciite -Badr, Ahrar al Haq, Ketaib Hezballah- con i loro 100 mila combattenti e i pasdaran iraniani possono supportare un esercito stremato da oltre 12 anni di guerra.
Ed è poi la Giordania ad aprire con la Russia ad Amman un “Centro di Coordinamento” delle attività militari in Siria per definire le strategie operative e condividere informazioni di intelligence contro i jihadisti.
La notizia dell’avvenuto coordinamento con la Giordania arriva a Vienna mentre esponenti politici e diplomatici di Usa, Russia, Turchia e Arabia Saudita ancora discutono sulla richiesta russa su una reale collaborazione militare anti-IS.
Il progetto russo prevede che del gruppo possano far parte anche Iran ed Egitto che hanno già assicurato la loro disponibilità e che vengano coinvolte le opposizioni siriane.
In sostanza, la Russia preme per un coordinamento militare fra russi e Coalizione internazionale in Siria e Iraq che potrebbe potenziare notevolmente il contrasto con IS, arrivare alla fine della guerra e ricostruire il Paese con il concorso di tutti, nessuno escluso, compresi gli oppositori e il presidente, attraverso elezioni monitorate da osservatori internazionali, per evitare la parcellizzazione del Paese in tre aree confliggenti, sunnita, alawita e curda, come accaduto in Libia.
Ma è la posizione ondivaga assunta in questa crisi dagli USA e dalle petromonarchie che suscita perplessità. USA e Arabia Saudita decidono di aumentare il sostegno all’opposizione siriana per fronteggiare le offensive dell’esercito siriano supportate dai libanesi di Hezb’Allah, dai combattenti iraniani e attacchi aerei russi.
Un equivoco politico-strategico che viene da lontano.
Lo spiega un documento dell’Agenza d’intelligence del Pentagono già nel 12 agosto 2012. I primi gruppi dell’IS in Siria arrivarono dalla guerra in Libia.
Militanti sunniti salafiti finanziati da Arabia Saudita e altre monarchie e armati da una rete dell’intelligence americana, come scrive il Rapporto di ‘Conflict Armament Research’.
Questo spiegherebbe l’incontro nel maggio 2013 -documentato fotograficamente e apparso sui media- tra il senatore USA John McCain e Obrahim al-Badri, leader di IS.
L’applicazione della ‘teoria del caos costruttivo”, di cui s’è più volte scritto.
Tornando al nuovo e decisivo ruolo della Russia sulla crisi Siriana e in tutto il Medio Oriente, non resta che rilevare come Turchia e Arabia Saudita continuano ad armare le opposizioni ormai scopertamente infiltrate dai jihadisti di IS e al-Nusra, nonostante la loro formale apertura alle proposte russe.
Mentre la Turchia di Erdogan, in vigilia elettorale e con laceranti tensioni interne, insiste nella sua campagna militare contro i curdi senza toccare IS.
E torna il quesito di partenza, il legittimo sospetto di sempre: a chi giova la destrutturazione di Iraq e Siria, e per farne cosa ?