
Putin ha capito che in Siria soltanto lui poteva colmare il vuoto d’iniziativa europea e l’incertezza americana, dopo quattro anni di guerra, duecentomila morti e quattro milioni di profughi.
Lo ha fatto con il duplice scopo di combattere il califfato (anche per arginare contaminazioni di estremismo islamico in casa propria) e di difendere il suo unico alleato strategico nel Mediterraneo.
Per questo l’aviazione russa bombarda volentieri sia i terroristi islamici sia i gruppi ribelli che sperano di rovesciare il regime di Assad.
Il risultato é che Assad rimane al suo posto, nonostante le condanne morali che si rivelano sempre piú spuntate.
Che senso ha urlare ai quattro venti che se ne deve andare se puoi non sai come cacciarlo?
Inoltre, quasi nessuno parla piú di Ucraina e oggi si sa che se una guerra non va in televisione e ai vertici internazionali diventa una guerra dimenticata, come le guerre e le guerriglie che si combattono da decenni in tanti angoli del mondo.
Se la Russia mostra i muscoli e gli altri lasciano fare come spettatori impotenti o tacitamente interessati, Putin potrebbe essere tentato di fare la prossima mossa nel nord dell’Irak, sempre con l’obiettivo ufficiale di combattere il Califfato.
Verrebbe cosi a prefigurarsi un’alleanza strategica sempre piú solida nel mondo sciita (Siria, Irak, Iran) sostenuta dalla Russia, come fattore di riequilibrio del mondo sunnita (Arabia Saudita, Turchia), tradizionalmente sostenuto dagli Usa.
Ma le cose non sono cosi semplici e schematiche. L’accordo sul nucleare iraniano ha rimesso l’Iran nel grande gioco. E questo di sicuro agli Stati Uniti non dispiace.