
I discorsi in pubblico e quelli dietro le quinte. I primi attacchi aerei russi sulla Siria non avrebbero colpito lo Stato islamico ma posizioni di altri movimenti di opposizione. Mosca smentisce, qualche amico Usa in casa siriana ribadisce e il Cremlino ri-smentisce. Rissa limitata alle prime pagine per fare titolo? Così sembrerebbe visto che nessuna tra le diplomazie di rilievo sembra dare troppo peso nè alle accuse nè alle smentite. Forse perché tutti, in questa partita mortale in Siria contro l’Islmic State, sanno che senza un accordo tra le due grandi potenze non se ne verrà mai a capo. Obama e Putin a New York ne sembravano convinti. E Mosca sa che l’esercito e il regime siriano sono allo stremo, sono sul punto di crollare. Addirittura, che Damasco potrebbe cadere il mese prossimo. E che la stessa regione di Laodicea, l’Alawistan con definizione inventata, la roccaforte della minoranza alauita a cui appartiene il clan Assad, è ora minacciata.
Ed ecco spiegato perché i russi bombardano Homs, e gli americani lo sanno molto bene. Nella regione di Homs combattono l’esercito di Assad, Hezbollah e i ribelli siriani del Fronte Islamico, una sigla che comprende numerose fazioni che non hanno aderito al Free Syrian Army. Non sarà l’Isis come denunciano gli Usa, ma non sono neppure angioletti. Militarmente, Homs è un punto strategico e un centro nevralgico per la difesa di quelle province che ormai vengono chiamate “Alawistan”, la fascia occidentale della Siria lungo l’area di confine con il Libano e la zona costiera dove sono le roccaforti russe di Latakia e Tartous, fino al confine settentrionale con la Turchia.
La strategia del Cremlino, in questa prima fase, sembra orientata a creare una cintura di sicurezza attorno alle aree alawite dove il regime di Assad è ancora saldo. Loro dal cielo e un po’ di aiuti sciiti iraniani sul campo. La battaglia decisiva contro lo Stato Islamico può attendere. Nulla di diverso dalla strategia turca -ad esempio- che ha come bersaglio prioritario le formazioni combattenti curde ai suoi confini. L’obiettivo strategico dell’iniziativa militare di Mosca risulta evidente:1) Assicurare che la fascia costiera siriana dove la Russia ha la sua base navale, resti saldamente nelle mani di Assad. 2) Mantenere il controllo di un territorio sufficiente a garantire le minoranze siriane alawite e cristiane assieme alla sopravvivenza politica del regime.
La Casa Bianca grida allo scandalo quando già sapeva cosa sarebbe accaduto, ma subito chiede un coordinamento Pentagono-Cremlino che i due Presidenti a New York avevano già concordato, ma che non era politicamente utile sbandierare. Ognuno con i suoi problemi in casa: Putin con Assad e Obama coi repubblicani. Infiniti giochi diplomatici sul futuro incerto della Siria. Incubo condiviso, lo sfascio del Paese e la creazione di più focolai di instabilità oltre l’Islamic State. Ovviamente, la partita tra Washington e Mosca in questa ancora incerta e diffidente alleanza mediorientale, non può non prevedere qualche riflesso sulla crisi strategica tra le due potenze che si gioca sul Baltico.
Per l’Ucraina sembra avvicinarsi una svolta. La cancelliera tedesca e i presidenti di Russia, Francia e Ucraina si incontrano a Parigi per fare il punto sull’applicazione degli accordi di Minsk. E i segnali non sono pessimi. Alcune armi pesanti sono già state ritirate e ora il fronte è un po’ più calmo. Governativi e separatisti filorussi sembrano volersi astenere da gravi provocazioni e i colloqui preparatori del vertice si svolgono tra alti e bassi, ma si svolgono. Sembra l’avvio verso un reale compromesso che permetterebbe la cancellazione delle sanzioni economiche imposte dall’Unione europea alla Russia e delle controsanzioni di Mosca all’Europa. Tutti i contraenti di questo continente ad averne tanto bisogno.