
Sono capitato in una fiera di paese: cibo, animali, folla, musica, frastuono. Insomma, tanti segnali di allegria. Bighellonando da soli, si è portati ad affinare l’udito e cogliere qualche battuta al volo. Più o meno questo il tono dei discorsi: “ma tu vedi questi stranieri, adesso bisogna anche ospitarli, pagar loro il soggiorno, sopportarli ciondolare per strada, o dedicarsi ad ogni nefandezza”. Il giorno precedente ero stato all’aeroporto della Malpensa. Nell’aerostazione, rari gli europei: mediorientali, nordafricani, sudamericani, cinesi. Donne bellissime, attraenti, spesso in compagnia di mariti o compagni italiani, con frotte di bambini al seguito. Gruppetti familiari allegri, pieni di vita, spensierati.
I due episodi mi hanno fatto pensare che l’Italia (e con essa l’Europa) si appresta a diventare quello stesso “melting pot”, quel crogiuolo di razze, che ha reso grande l’America. I commenti dei benpensanti in fiera nascondevano solo la paura del nuovo e del diverso. La realtà è quella che ho colto all’aeroporto milanese. Il processo è inarrestabile. Hanno voglia gli ungheresi di costruire muri e fare sgambetti: a mio parere, piuttosto, andrebbero cacciati gli ungheresi dall’Europa. Questi muri saranno abbattuti dalla voglia di tanta gente di vario colore e provenienza di fuggire dalla miseria, dalla paura, dalla fame e dalla guerra.
E, poi, come intendiamo sostenere il nostro sistema economico che si è seduto? Pensioni, stipendi pubblici e rendite non durano per sempre. Qui bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare. Con le mani, oltre che con la mente. I “bamboccioni” italiani, figli del benessere, preferiscono stare a casa e dormire fino a tardi, sotto l’ala protettrice di mammà, dopo aver passato le nottate in discoteca ed i pomeriggi in palestra (parlo di una minoranza, è ovvio). Chi si sporca le mani e si spezza la schiena con la fatica? Gli stranieri, ovviamente, che farebbero qualsiasi cosa, pur di affrancarsi dal bisogno. Così hanno fatto gli italiani in America, quando vivevano in sordide baracche, lavoravano di mazza e di piccone e venivano chiamati “dagos”, gente di basso livello. Così faranno gli stranieri in un’Italia multietnica, con la speranza di diventare italiani a tutti gli effetti.
Per chi avesse dimenticato, può rinfrescarsi la memoria con il bel libro di Gian Antonio Stella, L’Orda. Quando gli albanesi eravamo noi, edito da Rizzoli. Oggi, non si tratta di una invasione di stranieri brutti, sporchi e cattivi, che può essere un problema. Ma lo è soltanto se gli Stati non lo organizzano e fronteggiano correttamente. Fermo restante, che ci sono stranieri e stranieri. Ricordo due di essi, di colore. Un vicino di casa, gran signore, corretto, educato, riservato, lavoratore, buon padre di famiglia. Un altro, invece, ubriaco e demente, che avrebbe meritato di essere giustiziato sul posto. Vi risparmio i particolari.
Lo Stato italiano, l’Unione Europea devono guardare anche alla valenza economica di questa forza lavoro, di queste centinaia di migliaia di persone che spesso hanno cultura, sanno fare ed hanno voglia di fare. Molti già lavorano, altri potrebbero essere impiegati nei servizi di pubblica utilità, anche come corrispettivo per l’ospitalità che ricevono. Molti hanno già comprato casa, altri potrebbero acquistarla e contribuire a vivacizzare un mercato che, al momento, è una delle palle al piede dell’Italia. Stabilire diritti e doveri e rimpatriare velocemente coloro che delinquono. Inclusione, civiltà ed umanità viaggiano di pari passo.
Considerare queste forze fresche che affluiscono come un’opportunità, non come un modo per fruire dei contributi economici dell’Europa e foraggiare qualche organizzazione (“no profit?”) amica. L’Italia, rispetto agli altri Paesi europei, si è dimostrata più umana e civile. E’ andata a salvare tanti poveretti che stavano per affogare in mare. Di altri è riuscita a raccogliere solo i corpi. Nel mio girovagare in quella fiera di paese, ho sentito anche: “cos’è questo buonismo?”. Ecco un altro lascito della mala politica: il conio e la diffusione di un termine che tende a rendere cosa sgradevole la bontà d’animo. Ma occuparsi di chi chiede soltanto di migliorare la propria esistenza dovrebbe essere azione sentita e spontanea, oltre che atto di civiltà.