
La Russia sarebbe disponibile a partecipare ai raid aerei della Coalizione a guida USA contro l’Isis in Siria e Iraq. Forse e ‘si dice’, ma con segnali forti a sostegno dell’ipotesi. Sicuri almeno quattro indicatori emersi ad agosto che testimoniano del progressivo allontanamento della Russia dalla difesa del presidente siriano Bashar Assad. Qui sotto le foto diffuse sul web che mostrerebbero dei Mig russi già all’attacco di aerei presumibilmente governativi siriani. Manca qualsiasi forma di conferma ad una notizia abbastanza improbabile. Altri invece i riscontri positivi su quanto realmente su muove nellarea.
A) All’inizio di agosto il presidente statunitense autorizza raid in difesa dei “ribelli moderati” addestrati dai consiglieri americani anche se attaccati dall’esercito lealista siriano. In effetti gli aerei dell’Air Force Usa intervengono bombardando militanti del Fronte al-Nusra che erano riusciti a catturare 7 combattenti della “Division 30” addestrati dal Pentagono.
La domanda è quale strategia sia dietro la decisione del presidente che rischia un possibile scontro tra le sue forze e quelle siriane che pure combattono, pur non coordinandosi, lo stesso nemico che è l’IS.
B) Ancora più significativo è il vertice che a Doha, nel Qatar, che riunisce il segretario di Stato John Kerry, il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov e quello saudita Adel Jubeir. Non appare casuale che il ministro degli esteri del Qatar Khalid al-Attiyah suggerisca l’avvio di un dialogo con l’Iran.
C) Negli stessi giorni è molto attivo il principe ereditario saudita Mohamed bin Salman che si reca a Mosca per incontrare il presidente Putin poco dopo la diffusione di notizie sia pur smentite dalle parti su un colloquio che il principe avrebbe avuto con il capo dell’ intelligence siriana Alì al-Mamalouk.
D) E’ ufficiale l’accordo trovato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU sulla proposta francese di transizione politica per la Siria da sviluppare a settembre. In sintesi, il documento articolato in 16 punti intende realizzare una transizione politica a guida siriana creando un governo inclusivo con poteri esecutivi. Gli USA non vogliono che ne faccia parte Assad.
Questo scenario va arricchito dalla posizione dei numerosi Paesi intervenuti sulla Siria dall’inizio delle prime proteste disarmate del marzo 2011.
Da allora, il Gruppo degli “Amici della Siria” e l’ ’”Asse sunnita” sono rimasti coesi.
L’accordo raggiunto a luglio fra il Gruppo dei 5 Paesi + 1 (i membri permanenti del C.d.S. ONU più la Germania) e l’Iran, può considerarsi definitivo avendo il presidente Barak Obama ottenuto già il 2 settembre i voti sufficienti per sostenere il veto presidenziale da opporre nella probabile ipotesi di bocciatura da parte del Congresso.
Soprattutto gli USA, nel corso dei due anni di negoziati con l’Iran, non hanno mancato di rassicurare gli storici alleati del Medio Oriente e principalmente Israele, Arabia Saudita e Consiglio di Cooperazione del Golfo, Giordania, Egitto, Turchia che il trattato è basato sulle verifiche dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e durerà per tutta l’esistenza del programma nucleare.
In altri termini, rende più sicuro tutto il mondo.
Gli USA hanno favorito incontri di Tel Aviv con Arabia Saudita e Paesi del CCG, Turchia e tutti i Paesi a guida sunnita, inducendo anche l’Iran a una posizione molto più flessibile verso Israele.
In merito, appare significativa la cessazione di ogni aiuto finanziario di Teheran al movimento islamico palestinese Hamas, il cui leader Khaled Meshaal, rifugiato a Doha, starebbe preparando ad offrire a Israele una tregua decennale in cambio della cessazione del blocco della Striscia di Gaza che dura dal 2006.
Nello stesso tempo, l’Iran intende riprendere il suo ruolo di potenza esportatrice e attrarre dopo oltre 30 anni di emarginazione investitori occidentali per superare la profonda crisi socio-economica provocata da decennali sanzioni.
Il quadro medio-orientale non sarà mai più come prima.