Obama sull’ Iran:
o l’accordo o la guerra

Pace o guerra, dice Obama rovesciando il titolo di Lev Tolstoj. Per sostenere l’accordo sul nucleare iraniano Barack Obama parla di pace, ma non esita ad evocare la guerra: «Cerchiamo di non usare mezzi termini, la scelta è tra la diplomazia o qualche forma di guerra». E ancora: «Molti di coloro che parlavano a favore della guerra in Iraq ora spingono contro l’accordo sul nucleare con l’Iran», strano? Forse no. Quindi la vera bordata politica: un «rifiuto del Congresso dell’accordo lascia una opzione: un’altra guerra in Medio Oriente. Forse non domani, forse non tra tre mesi, ma presto».

 

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Parole forti, usate per ammonire il Congresso. Di fronte alla stessa platea dell’American University, dove nel 1963, pochi mesi dopo la crisi dei missili a Cuba, il presidente Kennedy propose l’accodo sul controllo delle armi all’Unione Sovietica. Obiettivo politico di Obama, convincere repubblicani e anche diversi democratici a non silurare il lavoro fatto in due anni su un punto ritenuto strategico per la sicurezza Usa. Certo, concede, l’accordo non risolve tutti i problemi con Teheran, e «nessuno può biasimare Israele per essere scettico su qualsiasi accordo con un governo come quello dell’Iran».

 

Mano tesa più alla potente lobby ebraica di casa che a Tel Aviv, anche la citazione per il non amato Netanyahu. Comprensibile sia fortemente contrario, «Ma io credo che si sbagli». Meglio concedere qualcosa con un alleggerimento delle sanzioni piuttosto che rincorrere una sua arma nucleare, è la sintesi. Comunque, «continueremo ad applicare sanzioni a Teheran per il suo sostegno al terrorismo e per le violazioni dei diritti umani». L’accordo, ulteriore dettaglio, «prevede ispezioni severissime e taglia tutte le strade per ottenere la bomba, mentre il divieto di avere armi nucleari è permanente».

 

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Ma il premier israeliano Netanyahu continua la sua battaglia contro l’accordo, anche in casa Usa. Contromossa di Obama, con un incontro privato alla Casa Bianca con diversi leader della comunità ebraica, ai quali ha fatto notare che l’Aipac, la più potente lobby ebraica Usa, ha avviato una campagna da ben 20 milioni di dollari, con numerosi spot tv, per influenzare l’opinione pubblica contro l’accordo. Secondo le previsioni, il voto in Congresso avverrà verso la fine di settembre, e secondo la Casa Bianca sarà la scelta più importante da quando, nel 2003, era Bush, fu decisa la guerra in Iraq.

 

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