
La diga di Belo Monte -terza più grande al mondo- si fa sulla carne di migliaia di indigeni dell’Amazzonia. I processi per violazione dei diritti umani non hanno fermato un progetto che ora rischia di portare all’estinzione intere popolazioni locali. E ora il legale indio Wilson Matos da Silva vuole portare in tribunale il colosso energetico nazionale brasiliano Norte Energia -responsabile del progetto- con l’accusa di etnocidio. Un neologismo legale usato come analogia di genocidio, spiega da Silva. Ma l’oggetto del reato non è la distruzione della vita, bensì quello della cultura delle 18 comunità indigene coinvolte.
L’atto d’accusa è stato accolto dal procuratore federale Thais Santi, che nelle prossime settimane aprirà una procedura contro il consorzio di aziende statali riunite sotto Norte Energia. Tuttavia la produzione di energia comincerà da novembre. E i circa 40 mila abitanti sulle rive del Xingu forse dovranno abbandonare la propria terra. Già ora circa l’80 per cento del corso d’acqua del maggiore affluente del Rio delle Amazzoni è stato deviato. Con la diga a regime per loro non ci sarà più lavoro e cibo. La pesca e altre attività umane intorno al fiume sono state compromesse a causa dell’inquinamento dell’acqua.
Tutto questo mette a rischio la biodiversità dell’ecosistema locale e la stessa alimentazione dei popoli indigeni coinvolti. Senza contare la selvaggia deforestazione per costruire la gigantesca infrastruttura. Sono stati distrutti oltre 1.500 chilometri quadrati di foresta pluviale. “La loro cultura è stata attaccata. Si tratta di una pratica coloniale il cui obiettivo è il dominio e la distruzione di una cultura, che è un insieme complesso e dinamico”, ha spiegato Sonia Magalhães, docente di sociologia presso l’Università Federale del Pará.
Droga, prostituzione e traffici illeciti sostituiscono le attività tradizionali. Al posto degli indios mandati via arrivano i nuovi coloni che lavorano alla diga (150% in più). Una guerra tra poveri che crea migliaia di nuovi profughi ambientali. Per dieci anni gli scioperi, le occupazioni e le violenze non hanno impedito al mega progetto di crescere. Nonostante i molti dubbi sull’effettiva utilità dell’infrastruttura. La battaglia legale è diventata una battaglia di civiltà per l’affermazione del diritto di un popolo a vivere la propria terra. Un’iniziativa che potrebbe creare un importante precedente giuridico.