
Molti analisti pensano che la riapertura dei dialoghi con Iran e Cuba -due avversari storici degli Stati Uniti- possa incoraggiare Washington ad affrontare anche il problema nordcoreano per la denuclearizzazione della Corea del Nord. Dubbi sulle intenzioni dell’imprevedibile leader Kim Jong-un, che potrebbe essere spinto invece a incrementare il programma nucleare proprio per far fronte a temuti maggiori problemi sia interni che esterni. La bomba contro l’instabilità in casa, l’isolamento politico, l’economia povera e l’incremento dei rapporti tra Stati Uniti e Corea del Sud.
Per altri invece, l’accordo con l’Iran terrà Washington troppo impegnata per affrontare in tempi brevi il problema di Pyongyang, che l’ordigno nucleare ce l’ha ma non ancora i missili per lanciarlo sui nemici. L’applicazione del patto con l’Iran, difficilmente lascerà agli Usa tempo e voglia di riaprire i colloqui con la Corea del Nord che nella costituzione si dichiara Paese nucleare. L’Iran non ha mai condotto test nucleari, mentre il regime del Nord li ha compiuti nel 2006, nel 2009 e nel 2013, affermando di essere nella fase di ‘miniaturizzazione e diversificazione delle bombe nucleari’.
Il caricaturale Kim Jong-un, con le sue minacce gridate all’intero mondo, non fa esattamente ridere, per i dati oggettivi di armamento e per l’imprevedibilità del regine stesso, che sembra sfuggire al controllo dello stesso storico protettore che è la Cina. Inoltre, mentre le sanzioni economiche hanno colpito l’Iran in modo severo -pensiamo al colpo nel commercio del petrolio- l’economia della Corea del Nord, da molti anni isolata dal sistema internazionale, è più immune a provvedimenti di questo tipo. Per assurdo, le difficili condizioni di vita della popolazione tutelano il regine stesso.