Ora la corsa all’oro si fa
con le bombole da sub

Setaccio, piccone e dinamite vanno in soffitta. Al loro posto bombole da sub, robot sottomarini, e micidiali sistemi di frantumazione delle rocce. Davvero troppo lontano dall’immaginazione dei mitici minatori del Klondike. La nuova corsa all’oro – che dal 2016 potrebbe avere un’impennata inaspettata – ora si fa nei fondali dell’Oceano. Oro, zinco, cobalto, manganese, nichel e rame in quantità enormi si trovano nelle dorsali oceaniche. 4 kg d’oro per ogni terrestre – valore 150 miliardi di dollari -, dice la National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA).

 

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In questi giorni i tecnici di una quasi sconosciuta agenzia Onu – l’ISA, International Seabed Authority – si riuniscono per decidere come e a chi assegnare le licenze per estrarre i cosiddetti preziosissimi “noduli polimetallici” dai fondali sottomarini. La discussione in corso dal 18 luglio mira ad ampliare i criteri favorevoli alle aziende (per lo più multinazionali) e ai governi. Le imprese della Cina, del Tonga, Fiji, Papua Nuova Guinea, Giappone, Germania, Francia, Stai Uniti – per citarne alcuni – sono in testa alle concessioni, secondo quanto dichiarato dalla stessa ISA.

 

Ma il massiccio saccheggio sottomarino, avvertono da più parti, può compromettere per sempre gli ecosistemi coinvolti. Fino all’estinzione di molte di specie animali. Ma c’è di più. Come spiega Richard Wysoczanski, fisico marino dell’Institute of Water and Atmospheric Researc (Niwa), a quelle profondità la vita dipende dall’ossigeno. Mentre gli scavi rilasciano particelle di zolfo che entrano prepotenti nella catena alimentare oceanica modificandola. Risultato, il pesce sulla nostra tavola potrebbe non essere più lo stesso. Sconosciute le conseguenze sulla nostra salute.

 

Ne vale davvero la pena? Non ci sono dubbi, almeno per le tasche delle compagnie del settore estrattivo. Un equipaggio di 47 uomini può estrarre la stessa quantità di metalli di 3300 minatori sulla terra ferma – cifre fornite da MiniWatt.it -. Nel solo Oceano Pacifico si ritiene ci siano 27 miliardi di tonnellate di preziosi e giganteschi ‘noduli polimetallici’. E l’ambiente? L’esperienza dice che finora le multinazionali non l’hanno avuto troppo a cuore.

 

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A proposito, Il Fatto Quotidiano scrive che nella nuova corsa all’oro si è affacciata anche una sussidiaria inglese della Lockheed Martin, il colosso della difesa Usa e produttrice dei chiacchierati cacciabombardieri F35. Da quel momento l’Agenzia internazionale per il mare delle Nazioni Unite ha ritenuto opportuno rivedere la legislazione in merito, pensando a norme più permissive. Solo un caso?

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