
L’Iran torna una presenza internazionale frequentabile ufficialmente anche per l’occidente, dopo i decenni dell’isolamento nello scontro tra opposti integralismi, quando l’Ayatollah Khomeini definì gli Stati Uniti il Grande Satana e Reagan replicò aggregando l’Iran all’Asse del Male. L’accordo -dopo venti mesi di negoziati- è probabilmente il maggior successo in politica estera della presidenza di Barack Obama, già oggi impegnato a preparare il terreno per l’approvazione da parte del Congresso che dovrà avvenire entro 60 giorni. Minori problemi certamente per il presidente iraniano Hassan Rouhani che dovrà ottenere analoga approvazione parlamentare dopo dodici anni di gelo e venti mesi di trattative. Ad illustrare i dettagli dell’accordo i due ‘facitori’ del successo: il segretario di Stato Usa, John Kerry, e dalla sua controparte iraniana, Mohammad Javad Zarifi.
Mentre il mondo festeggia, Israele proclama la sua frustrazione al mondo. Per Netanyahu «L’accordo è un errore di portata storica». Ed è facile capire una reazione tanto dura. Con l’accordo di oggi, lo scenario mediorientale sta subendo brusche modificazioni, si affermano nuovi protagonisti e vecchie alleanze che apparivano consolidate si sbriciolano. Tornano sulla scena nell’area nell’area di due protagonisti storici, l’Iran di Rouhani ormai all’uscita dal decennale isolamento in qui era stato costretto, e la Russia di Putin, che ha giocato la carta dei suoi rapporti storici con il regime di Assad riuscendo ad evitare l’attacco militare USA con una soluzione negoziata per la distruzione delle armi chimiche presenti in Siria e transitate da Gioia Tauro. La Russia che sta estendendo i suoi legami con Egitto, Iran e Iraq, decisivi per l’azione anti ‘Califfo’.
Al contrario, si logorano antiche e consolidate amicizie. Gli Stati Uniti sembrano sempre più lontani dai complicatissimi intrecci mediorientali, salvo un impegno molto teorico alla soluzione del conflitto israelo-palestinese. Gli Stati Uniti del terzo millennio sono in una fase di ripensamento complessivo del loro sistema di alleanze nella regione, testimoniata dalla stessa revisione degli aiuti militari all’Egitto, o alla stessa Turchia, o a Israele. Poi macello Siria: Turchia e monarchie arabe del Golfo avevano puntato su una rapida caduta di Assad, che non si è verificata, proprio grazie al sostegno dato ad Assad dalla ‘mezzaluna sciita’, Iran e Hezbollah, e della Russia. Quando lo stesso mondo sunnita emerso dalle Primavere arabe pareva trionfare in tutta la Regione nelle sue spinte jihadiste, i pochi colpi inferti all’Isis arrivano grazie al contributo sul campo dalle forze sciite o curde.
Poi Israele, oggi più fragile per lo stesso prevalere della sua destra ultranazionalista. Per Tel Aviv un nuovo contesto regionale, sia verso i palestinesi, sia per le complesse relazioni con l’alleato Usa e con la stessa Europa, che sta aumentando le pressioni sulla vergogna degli insediamenti. Novità che possono produrre anche irrigidimenti e alzare tensioni. In un contesto di generale movimento, la Turchia di Erdogan già sta rivedendo le sue coordinate internazionali, senza accettare più dinieghi dall’Unione Europea ma guardando al vecchio mondo ottomano. Una realtà in veloce evoluzione, col ruolo dell’Europa che potrebbe-dovrebbe recuperare gli spazi lasciati vacanti dalla minor presenza Usa. Ma non sembra questo il destino prossimo, data l’esperienza ancora bruciante della inconsistenza politica dell’Unione esaltata nel pasticcio Grecia prodotto dalla politica dei mercanti.
Ma la svolta vera inizia a Teheran il giorno in cui s’insedia Hassan Rouhani, definito dai suoi inizi presidenziali, il ‘moderatore’. Da quell’elezione in poi, gli Usa non vengono più dipinti come il ‘Grande Satana’ e dall’altra parte, l’Iran diventa improvvisamente un potenziale alleato, il possibile argine all’estremismo islamico e al divampare della Jihad in Siria e Iraq. Al punto che Obama stesso, nell’ottobre del 2014, scrive una lettera all’Ayatollah Ali Khamenei, Guida Suprema della Repubblica Islamica, per una ‘road map’ sul conflitto nella regione. Obama quell’accordo lo voleva. Perché può essere un buon accordo per un lungo futuro. Ciò nonostante la strada è ancora piena di pericoli e l’uomo alla Casa Bianca lo sa bene dopo sette anni di alti e bassi e dopo aver perso il controllo del Congresso americano. Ma il Medio Oriente è pronto per questa prova di maturità?