Sulla Grecia poco da ridere, ma basta autolesionismo

“I prossimi saremo noi!”, sento in giro e leggo sui social, quasi con autolesionistico compiacimento, con riferimento alla crisi greca. Ma perché augurare il male a noi stessi ed ai nostri figli? Abbiamo idea di cosa si parla? Io, invece, auspico che la crisi greca si risolva presto e bene. Che tutti tornino alla ragionevolezza, dopo questo impazzimento generale, che potrebbe essere un segnale verso la Merkel ed il suo antipatico ministro Schauble. Potrebbe, però, segnare anche l’inizio del terrore per un intero popolo, con probabili riflessi drammatici sull’Europa e sul mondo. Come paventano USA e Cina, che conoscono benissimo le implicazioni a catena in un mondo globalizzato, e stanno facendo le loro brave pressioni.

Intanto, anche noi italiani ci siamo già dentro, con i 40 miliardi anticipati che molto probabilmente non rivedremo, e con l’aumento dello spread che, a quota 165 dai minimi di 120, già “costicchia” per le casse statali. Se non cambiano le cose, prepariamoci ad altre tasse. Mi chiedo: quelli che quasi auspicano un nostro coinvolgimento nell’esplosione a catena hanno idea di cosa possa essere una crisi strutturale per un Paese?

grecia bandiera cop

“Peggio di così…”, rispondono, con inevitabile rassegnazione. Sì, ci può essere di molto peggio. Eppure, hanno l’esempio greco sotto gli occhi, pur non essendo ancora di questa portata, ma rischiando che lo diventi se non si trova un accordo, presto e bene.

La chiusa delle banche è l’antipasto. Seguirà il blocco di stipendi e pensioni, l’incetta di beni di prima necessità, la loro scomparsa, le code ai distributori di carburante, fame e freddo, rivolte di piazza, insicurezza ed ansia totali. Abbiamo anche gli esempi dell’Argentina, dell’ex Unione sovietica. Non stiamo parlando di Paesi del terzo mondo. È mondo aduso ad alti livelli di civiltà. Si pensa che noi siamo immuni, ma non è così. Questo quadro è dietro l’angolo, se in Italia nessuno fa niente per riequilibrare il peso tra quella parte, sempre più preponderante, che vive su rendite di posizione e quella parte che lavora e produce per permettere a tutto l’ambaradan di continuare ad esistere. Sono le regole del capitalismo, del lavoro e della produzione. Possono non piacere, ma sono le uniche che abbiamo. Se qualcuno trova un sistema diverso, più equo ed equilibrato, è da proporre immediatamente per il Nobel.

“Vogliamo essere liberi”, sento ancora. Sì, anch’io. Ma un Paese è libero se ha una classe politica onesta e capace, che lo amministra bene, con una economia robusta, in grado di sostenerne di debito pubblico. Altrimenti non si va da nessuna parte. “Usciamo dall’euro”, dicono altri. Dopo questi anni in cui la Bce è stata dotata di ulteriori armi per contrastare gli attacchi esterni (ricordo che i più pesanti sono venuti dalla finanza USA), con il controllo centralizzato delle banche, il meccanismo salva Stati, la possibilità di acquistare ingenti quantità di titoli (“quantitative easing”)? Se l’Europa è stata capace di migliorare la coesione finanziaria ed il controllo degli eccessi speculativi, sono convinto che troverà anche il modo di migliorare l’intesa politica, magari arrivando ad una federazione di Stati: l’unica strada perseguibile.

Uscire dall’euro, per andare dove, poi? Noi questa libertà di scelta non l’abbiamo. Ce l’hanno tolta decenni di malgoverno, che affondano le radici nella metà degli anni ’70. Anche se non piace, è questa la verità. E, poi, perchè un altro shock , dopo quello che abbiamo subito per entrarci, nell’euro? E ci siamo entrati non solo per libera scelta, ma per evitare, ancora una volta, il default del Paese, che già allora era incombente.

E’ vero, in questi anni abbiamo fatto troppi sacrifici: tassazione eccessiva, cessione di parte della nostra autodeterminazione agli usurai internazionali che ci tengono in pugno, distruzione del nostro sistema produttivo, specialmente della grande industria. Ma perché evocare il peggio? Perché immaginare di non dovere fare fronte ai nostri debiti? Basta rimettersi a lavorare, produrre valore aggiunto e mantenere una certa coesione sociale. “Non si può, perché la politica lo impedisce. La “casta” non fa le cose che dovrebbe fare”. E vogliamo fare la rivoluzione? Come? Affidandoci a chiacchieroni, bugiardi e populisti? La gente che protesta ha mille ragioni. In Italia è venuto a mancare la capacità di amministrare questo nostro, bellissimo, Paese.

Come governanti abbiamo avuto ex funzionari di partito, burocrati, imprenditori, magistrati, professori, “yesmen”, ed a volte neanche di specchiata virtù. Ma uno statista vero mai? Uno alla De Gasperi, per intenderci? Che ha ridato al Paese la speranza, dopo tutte le disgrazie della guerra? Pare che sia merce rara.

bandiere tre

Emergono, invece, chiacchieroni, “masaniello”, guitti, lugubri ed improbabili guru, arruffapopolo, bugiardi qualunquisti (perchè la gente ama sentirsi dire quello che vorrebbe, non la descrizione della realtà ed i modi per cambiarla e migliorarla), ma non statisti, gente che sa e sa fare il bene del Paese e dei suoi cittadini. Intanto, dobbiamo prendere atto che, piaccia o non piaccia, viviamo in un ampio contesto internazionale. L’Unione Europea è una realtà. I padri fondatori, Robert Schuman, Paul-Henri Spaak, Konrad Adenauer, Altiero Spinelli, Gaetano Martino, Jean Monnet, sicuramente non la volevano così.

Molti Paesi, specialmente quelli del Nord, la loro libertà ce l’hanno. La Germania va ricondotta alla ragione, perché di errori ne ha fatti e non pochi, per troppo tempo. Per la Grecia va applicato il principio della solidarietà. Quel popolo non merita di soffrire così. E per l’Italia, per favore, smettiamola di fare gli uccelli del malaugurio. Non pensiamo al peggio, perché di sacrifici ne abbiamo fatti moltissimi. E, soprattutto, guardiamo dentro il Paese. Pensare che tutto il male venga da fuori è sbagliato.

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