Europa qualunquista
il Papa ambientalista

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RIFUGIATI E MIGRANTI

La questione migratoria è la cartina al tornasole delle guerre, delle persecuzioni e della povertà che assillano le periferie del mondo. Pertanto è davvero penosa l’indifferenza e l’ottusità dell’Unione Europea. Se da una parte è totalmente inadeguato e anacronistico il Trattato di Dublino -secondo cui il primo Paese europeo su cui mettono piede i cosiddetti “profughi”, quel Paese li deve accogliere e ospitare- dall’altra, l’aiuto generico ai Paesi di provenienza o di transito -“aiutiamoli a casa loro”- tanto sbandierato da certi politici nostrani, lascia il tempo che trova, non foss’altro perché poi nessuno spiega come effettivamente realizzarlo. Inoltre, qualsiasi iniziativa sul versante migratorio è vista dai governi europei soprattutto in funzione del controllo delle frontiere, del contrasto all’immigrazione illegale, della lotta ai trafficanti. Si tratta, dispiace doverlo scrivere, dell’incapacità, da parte dei leader europei, di comprendere la complessità di uno scenario geopolitico incandescente. Purtroppo, in questo frangente della Storia, non vi sono statisti nel vecchio continente degni di questo nome, in grado di comprendere che è cruciale definire delle strategie capaci di andare al di là del semplice contenimento dei flussi.

 

Ad esempio, è indispensabile procedere alla stabilizzazione della Libia. Qui, solo un governo d’unità nazionale che collabori con i Paesi africani confinanti, l’Italia e l’Ue potrebbe consentire un esito meno traumatico del flusso migratorio. Ecco perché bisogna promuovere con maggiore enfasi il dialogo diplomatico. Altrimenti, il nodo della Libia e il traffico di migranti che da qui origina non potranno essere risolti nel breve periodo. Inoltre, fin quando i Paesi dell’Unione -Francia in primis- continueranno a muoversi come cani sciolti, portando avanti nell’Africa Subsahariana iniziative che prescindono da un indirizzo comunitario, lo sfruttamento delle ‘commodities’, le materie prime, da parte dei potentati stranieri con la complicità di regimi totalitari, in quelle terre del Sud del mondo, alimenterà l’esodo di tanta umanità dolente. Dulcis in fundo, occorre mettersi in testa che occorre aprire dei corridoi umanitari. È necessario cioè allestire nei Paesi da cui partono i migranti, in accordo con le ambasciate europee, un canale privilegiato per ottenere visti per motivi umanitari che consentano l’ingresso in Europa, in modo regolare e non su barconi o altri mezzi di fortuna, di uomini, donne e bambini in fuga dai Paesi in guerra.

 

Fin quando l’Europa sarà ostaggio dei suoi nazionalismi, non si troverà una via di uscita. La sfida, poi, guardando al futuro in modo costruttivo -considerando peraltro che in Italia prosegue il calo delle nascite- consiste nel credere che le migrazioni, se debitamente governate, possano avere un impatto positivo sulle economie locali, stimolando circoli virtuosi di sviluppo sia nelle comunità di origine che in quelle di accoglienza. È l’ipotesi del “brain gain”, del guadagno, degli effetti positivi che si basa sulla “brain circulation”, sulla possibilità cioè di poter valorizzare le competenze dei migranti sia nei Paesi di accoglienza che nei Paesi di origine, iniziando, ad esempio, dai progetti di cooperazione allo sviluppo e dalle molteplici opportunità imprenditoriali e di scambi commerciali capaci di rafforzare le relazioni bilaterali a reciproco interesse. Peccato che finora la circolazione fisica dei talenti non sia ancora in cima ai desideri e ai progetti delle nostre classi dirigenti.

 

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L’ENCICLICA LAUDATO SI’

L’enciclica, prendendo lo spunto dall’invocazione di San Francesco d’Assisi, «Laudato si’, mi’ Signore», che nel Cantico delle creature ricorda che la terra, la nostra casa comune, mette in evidenza le questioni cruciali del nostro tempo, quali, ad esempio «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita». In questa prospettiva possiamo dire che Papa Francesco ha davvero la perspicacia e la lungimiranza di cogliere la sfida della complessità. Per affrontare correttamente un fenomeno complesso, occorre conoscerlo nei dettagli, negli effetti, nelle cause e non solo come semplice analisi delle parti, perché il risultato finale non è la semplice somma delle componenti.

 

Questo, in sostanza, significa, guardando ad esempio alla questione migratoria, che questa, se opportunamente valutata, non può prescindere dalle cause che la generano (guerre, sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali, inquinamento, povertà…) e dalle difficoltà sociali, politiche, legislative ed economiche dei Paesi di accoglienza. Tutti questi fattori, interagiscono tra loro, a volte rendendo la matassa estremamente intricata e difficile da dirimere. Per questi motivi occorre essere pensanti, operare un sano discernimento sulle questioni da affrontare, se vogliamo l’agognato cambiamento. A questo proposito, papa Bergoglio dimostra di essere l’unico vero statista sulla scena internazionale. Infatti, attualmente -dispiace doverlo affermare- non vi sono sul palcoscenico della Storia, leader politici in grado di leggere gli accadimenti del nostro tempo con questa apertura mentale. Ecco perché il nucleo della proposta dell’enciclica è l’ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia, un’ecologia «che integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda». Infatti, non possiamo «considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita». Questo vale per quanto viviamo nei diversi campi: nell’economia e nella politica, nelle diverse culture, in particolare in quelle più minacciate, e in ogni momento della nostra vita quotidiana.

 

Papa Francesco ci dice, a chiare lettere, che le analisi da sole non possono bastare: ci vogliono proposte «di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale», e «che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando». Ogni anno vengono pubblicati rapporti scientifici, dossier internazionali e altri studi sullo stato del nostro pianeta, ma purtroppo le classi dirigenti, da meridione a settentrione, da oriente a occidente, fanno orecchie da mercante. Per papa Francesco è imprescindibile che la costruzione di cammini concreti non venga affrontata in modo ideologico, superficiale o riduzionista. Per questo è indispensabile il dialogo, termine presente nel titolo di ogni sezione di questo capitolo: «Ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. […] la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma [io] invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune». L’ultimo capitolo è davvero avvincente. Esso va al cuore della conversione ecologica a cui l’enciclica invita. Le radici della crisi culturale agiscono in profondità e non è facile ridisegnare abitudini e comportamenti. L’educazione e la formazione restano sfide centrali: «ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo»; sono coinvolti tutti gli ambiti educativi, in primis «la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi». Comunità cristiane meno intimiste o spiritualiste che dir si voglia. Passare dai buoni propositi ai fatti, coniugando spirito e vita. Cambiare il modo di concepire la politica, l’economia, la vita sociale, il proprio modus vivendi. Tutti, ci rammenta papa Bergoglio, abbiamo una grande responsabilità rispetto al futuro delle giovani generazioni.

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