
Un lettore di RemoContro, chiamiamolo Andrea, molto educatamente ma con puntiglio, in questi giorni di dibattito sul voto turco ha cercato di ribattere alle naturali grossolanità dei pro e dei contro sul partito e su Erdogan. Come definire correttamente l’Adalet ve Kalkınma Partisi, l’AKP, ‘Partito per la Giustizia e lo Sviluppo’? Sintesi internazionale più diffusa è quella di ‘islamico-conservatore’. Allora, nel 2002, quando arrivò al potere, lo avevo seguito in campagna elettorale dal sud est curdo, dove prese i voti per vincere, lo definivo ‘partito islamico moderato’. Conservatore lo divenne dopo.
L’AkParti, letto alla turca, è un partito-specchio: riflette le diverse immagini del leader. Alla sua scoperta, l’AKP fu anche definito come partito conservatore di centro-destra sulla scia dei partiti cristiano-conservatori o cristiano democratici d’Europa. Una specie di Dc turca. Soltanto che nella Dc cambiavamo i segretari e le sue molte anime, nell’AKP cambiano solo la ambizioni del Padre-Padrone. Il personaggio Erdogan non aiuta alla mediazione: o lo ami o lo aborri. Nelle due volte in cui ho avuto a che fare direttamente con lui l’ho trovato molto abile, deciso e anche molto antipatico
L’AkParti a ‘immagine e somiglianza del Padre’, nel 2007 affronta la elezione dell’allora ministro degli Esteri Abdullah Gül alla presidenza della Repubblica sfidando assieme, corte costituzionale, opposizioni parlamentari e i vertici militari, tutori in base alla Costituzione della laicità dello Stato. Nessuno voleva che Presidente del Consiglio, della Camera e della Repubblica appartenessero allo stesso partito. Erdogan spinse verso elezioni anticipate e vinse tutto, portando il silente e perbene Abdullah Gül a dargli copertura arbitra alla Presidenza della Turchia via via sempre meno laica.
L’AKP diventa sempre più una sorta di partito religioso moderato, con interessanti spinte innovative. Candidature di molti indipendenti, intellettuali e manager, e donne in Parlamento passate da 13 a 26. Poi la regressione, una sorta di involuzione contraria alla crescita di consensi e di potere. In un certo senso anche Erdogan è stato vittima delle primavere mediorientali, con due anni di ritardo: la rivolta di Gezi Park. Lui che aveva proiettato la Turchia nel boom economico, liberandola della parte più conservatrice e tradizionale della Turchia, non aveva capito che il Paese stava cambiando.
Negli anni recenti lo scontro meno nobile dei sospetti e degli arresti e delle campagne steriche contro i social media. Il presidente Erdogan viene sfiorato da accuse di riciclaggio e corruzione. Nel 2013 la polizia arresta i ministri dell’economia, dell’Interno e dell’Ambiente, e l’amministratore di Turkiye Halk Bankasi, con le accuse di riciclaggio di denaro sporco, contrabbando d’oro, corruzione nelle gare d’appalto del governo. Lo stresso AKP si scopre ormai un coagulo di interessi, e carriere e di ambizioni accelerate, nella percezione che tanto e tele potere incontrastato potessero durare a lungo.
Contemporaneamente si sviluppa, incontrollata, la spinta di Erdogan alla islamizzazione forzata. Nella scuola, obbligata ad avere una stanza della preghiera per i ragazzi e una per le ragazze. Contro Darwin, ‘Il mondo l’ha creato Allah’. Nelle scuole coraniche, prossimo anno le ore di arte, musica ed educazione fisica saranno eliminate. Imposizione di una visione di società e più posti di lavoro a favore dei sostenitori dell’Akp. Peggio sul lavoro. 1.754 operai morti nei cantieri edili in 5 anni. Sette volte oltre la media europea. Misure di sicurezza? ‘Solo Allah ha potere di vita e di morte’.
Erdogan e l’AKP verso il loro epilogo politico? Prudenza. Il presidente ha 45 giorni per trovare una soluzione di governo, con un esecutivo di coalizione o uno di minoranza. Il 17 luglio, la fine del Ramadan e la festa di Eid al Fitr, o l’accordo di governo o elezioni anticipate. Erdogan lascerà che siano i leader e i deputati usciti dalle urne a decidere chi formerà il prossimo governo? Improbabile ma possibile. Ironia della sorte, l’uomo che voleva decidere tutto da solo ora non ha in mano il suo destino e dovrà condividere potere. È la democrazia, anche quella turca, che avanza nonostante tutto.
Nonostante Erdogan abbia fatto quello che non poteva fare da presidente, scendendo in campagna elettorale a favore del suo partito, arringando la folla nei comizi e sventolando il Corano, un gesto che nessuno aveva mai osato compiere nella repubblica laica fondata da Ataturk. Ha forzato la legge manovrando la giustizia, incarcerato i giornalisti e condizionato un Parlamento fatto in gran parte da uomini ai suoi ordini. In questa nuova Assemblea, con l’opposizione più forte e un partito curdo con 80 seggi, non potrà più fare votare le leggi che vuole e controllare le commissioni parlamentari. Vedremo.
e. r.