
Un’indagine molto interessante sui quotidiani, tg e talk show: dove si informano i parlamentari italiani? “PolicyBrain” ha analizzato le community dei parlamentari su Twitter per comprendere quali siano le testate, i programmi di approfondimento e i giornalisti che occupano una posizione centrale nella dieta mediale dei politici italiani presenti in Parlamento. Ma se un regime democratico efficiente deve fondarsi sul consesso dei cittadini informati, qual è l’informazione politica di cui essi hanno davvero bisogno? Sorge il dubbio che la stampa nostrana, quella italiota, (per qualcuno, lo so, è il segreto di Pulcinella) sia in funzione, solo e unicamente, di chi è nella stanza dei bottoni e non viceversa. Ecco che allora, l’interpretazione prevale sulla narrazione al punto che ciò che conta è l’opinionismo finalizzato al consenso nei confronti di questo o quel partito.
Come scrisse il direttore del famoso quotidiano britannico “The Times”, John Thadeus Delane, “il dovere del giornalista coincide con quello dello storico: cercare la verità, soprattutto dei fatti, e presentare al proprio lettore non questi fatti come lo statista vorrebbe farli conoscere, bensì la verità, per quanto è possibile coglierla”. Dispiace doverlo scrivere, ma nel nostro Paese la stampa molto spesso tradisce la propria vocazione di servizio pubblico, quella cioè di sorvegliare l’operato dei rappresentanti del popolo ed essere essa stessa interprete delle istanze valoriali della “Res publica”…. Se non vado errato, dai tempi di Edmund Burke (detto il Cicerone britannico, politico, filosofo e scrittore britannico di origine irlandese del XVIII secolo), si parla della libera stampa come del quarto potere, che dovrebbe affiancare e controllale i tre canonici poteri dello Stato. Ma è proprio così? Ho qualche seria perplessità…
Quest’oggi, chissà perché, ho riflettuto a lungo sulla crisi di leadership che caratterizza la società contemporanea. Probabilmente, è stata la lettura dei giornali a farmi pensare così tanto. D’altronde, la crisi è sotto gli occhi di tutti. È a trecentosessanta gradi e riguarda il settore macroeconomico, quello psicosociale, per non parlare dello scenario geopolitico. Ciò è dovuto, a parer mio, al deficit di autorevolezza. In fondo, a pensarci bene, il vero leader è colui che riesce a conquistare il cuore della gente perché i suoi gesti precedono le parole. Non a caso, Albert Schweitzer, medico e missionario, affermava perentoriamente che “l’esempio è leadership”. Non si tratta tanto di essere capaci di dare ordini, quanto piuttosto di motivare, indicando la rotta da seguire.
Purtroppo, invece, spesso, molto spesso, siamo costretti a relazionarci con leader protesi alla massimizzazione dei loro interessi, nel pubblico come nel privato. Per loro l’interesse collettivo è marginale, anche se poi, nei loro discorsi affermano il contrario. Ma la leadership è anche situazionale perché un vero leader ha anche il coraggio di comprendere, col cuore e con la mente, se ha davvero i numeri per farcela a rivestire un determinato ruolo. Francesco d’Assisi, ad esempio, non avrebbe mai voluto o saputo essere un leader politico; o Ghandi non sarebbe mai stato capace di comandare un esercito. Un concetto che trova la sua sintesi nelle parole di Tommaso Moro: “Che io possa avere la forza di cambiare le cose che posso cambiare, che io possa avere la pazienza di accettare le cose che non posso cambiare, che io possa avere soprattutto l’intelligenza di saperle distinguere.”