
Sviati dalle celebrazioni nostrane sulla prima guerra mondiale, tutte incentrate sul Piave o sull’Isonzo, compaiono sempre meno ricordi dell’andamento generale della Grande Guerra che un secolo fa sconvolgeva l’Europa. Se ci fossimo trovati invece a Londra o a Parigi sulle prime pagine dei giornali avremmo letto di Gallipoli o dello stretto dei Dardanelli dove infuriavano combattimenti tra alleati e ottomani.
La campagna di Gallipoli fu il tentativo (fallito) di conquistare Costantinopoli e liberare l’accesso al Mar Nero aprendo una via di rifornimento per la Russia attraverso il porto di Odessa. Grande sostenitore dell’operazione fu Winston Chuchill, secondo alcuni ispirato dal primo capitolo della biografia di Milziade di Cornelio Nepote che esaltava appunto la conquista del Chersoneso Tracico ai tempi delle guerre persiane. Il piano strategicamente aveva comunque una sua validità, ma mancarono mezzi adeguati per portarlo a compimento e praticamente si rivelò un disastro.
Uno dei protagonisti ottomani fu un colonnello poco conosciuto, attivo sostenitore del movimento dei Giovani Turchi, destinato però a diventare famoso: Mustafa Kemal, che divenne Atatürk, ovvero il ‘padre dei turchi’, trovandosi nei pressi dello sbarco, organizzò la difesa. Come in tutti gli sbarchi l’avanzata rapida dalla spiaggia era determinante e Kemal infatti occupò subito un’altura dominante per contrastarla.
Dall’episodio si sviluppò l’iconologia kemaliana che avrebbe rafforzato la figura del fondatore della Turchia moderna. Aver raccolto gli sbandati riportandoli in combattimento divenne una metafora importante nel dopoguerra: come Mustafà Kemal aveva già salvato la capitale, così Atatürk avrebbe chiamato a raccolta gli sconfitti turchi per la difesa del paese quando i greci lo attaccarono dopo la Grande Guerra.
E alla nascita di questa immagine del condottiero coraggioso inconsapevolmente collaborò perfino un ufficiale australiano quando nelle memorie scrisse di aver visto un comandante turco che, in piedi in mezzo alle fucilate, appena riparato da un cespuglio, impartiva tranquillamente ordini ai suoi.
Dopo questi episodi apparvero anche aggiunte e varianti, tutte sempre leggibili in chiave simbolica. Kemal, nonostante le pallottole fischino da tutte le parti, si accende con calma una sigaretta e riflette sull’andamento delle operazioni trovando la soluzione giusta. Kemal, nonostante rivesta un certo grado, aiuta i propri soldati a posizionare un cannone in trincea. Kemal infine li rincuora paternamente tutti, compresi alcuni arabi molto spaventati, arruolati nell’esercito come tutti gli altri in quanto ‘fedeli sudditi’ dell’impero.
Col senno di poi e un’analisi accurata delle fonti, sorgono parecchi dubbi -quanto meno sul fatto che tutto ciò si sia svolto in quelle poche ore sul crinale della collina- ma questo è stato tramandato a livello popolare ed ha avuto la sua importanza.
Date queste premesse e l’indiscutibile ruolo politico svolto da Atatütk nel dopoguerra, è chiaro come la sua figura domini ancora l’immaginario collettivo della Turchia e come proclamarsene erede più o meno legittimo sia ancora oggi fondamentale per chi vuole continuare a rivestire un ruolo nella Turchia odierna, se pure rimescolando un po’ troppo le carte sulla laicità dello Stato così come la volle Atatürk.