La guerra del petrolio che coinvolge il mondo contro la Russia di Putin

L’incontro Kerry e Putin a Sochi di questi giorni incassa solo segnali: passi verso una lenta e non scontata normalità dei rapporti. L’anno prima faccia a faccia di Kerry con Putin e con Lavrov.

Uscì fuori che Usa e Russia erano concordi per le armi chimiche in Siria, per il contrasto all’Isis, sul nucleare iraniano, lo Yemen e la cooperazione nello spazio.

L’inciampo  è l’Ucraina. Appello a Misk anche se è chiaro che qualcuno sul campo gioca sporco.

E ora è GUERRA DEL PETROLIO

I prezzi globali del petrolio in discesa ovunque nel mondo con minori ricavi per miliardi in molti dei Paesi esportatori di energia. Un semplice aspetto commerciale? Quello del prezzo del petrolio è uno degli strumenti antichi di guerra non dichiarata e non direttamente cruenta ma decisamente feroce. Con svariate parti in campo, dalle consuete petromonarchie forcaiole del Golfo agli Stati Uniti del petrolio di scisto. Con una sola certezza oggi: il bersaglio. La Russia di Putin. Nel 1985 il prezzo del petrolio scese del 65%. Fu il colpo mortale per l’Unione Sovietica, dipendente dal petrolio.

Dal 2010 fino alla metà del 2014 i prezzi mondiali del petrolio erano stati abbastanza stabili, a circa 110 dollari al barile. Da giugno dello scorso anno si sono più che dimezzati. Il Brent greggio sceso sotto i 50 dollari al barile adesso (oggi) viaggia sui 68 dollari. Ragioni di questo cambiamento? La domanda debole in molti paesi a causa della crisi economica, insieme all’impennata di produzione statunitense. In una scelta antieconomica che coincide con la sovrapproduzione Usa, il cartello dell’ Opec e le petromonarchie alleate, hanno deciso di non tagliare la produzione per sostenere i prezzi.

Petrolieri del blocco occidentale improvvisi benefattori nel rilancio dell’economia mondiale? No. Altra chiave di lettura. La Russia perde circa 2 miliardi di dollari di fatturato per ogni dollaro di diminuzione del prezzo del petrolio, e la Banca Mondiale ha avvertito che l’economia della Russia si ridurrebbe di almeno il 0,7% nel 2015, se i prezzi del petrolio non recuperano. La Russia a sua volta non taglierà la produzione per non perdere clienti. Il calo dei prezzi del petrolio che colpisce di più delle sanzioni occidentali per l’impiccio Ucraina, con la Russia 2015 a rischio recessione.

La Russia è uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo e la sua economia dipende in gran parte dai ricavi sull’energia: petrolio e gas rappresentano il 70% delle esportazioni. Lo sapevano bene tutti alla più recente riunione OPEC in novembre a Vienna. Per la Russia c’era Igor Sechin, il direttore esecutivo della Rosneft -il più grande produttore di petrolio della Russia-, ex apparatchik KGB. Per l’Arabia Saudita il ministro del petrolio Ali al-Naimi. Erano lì per parlare di petrolio e non di guerra. Ma il petrolio è certamente un’arma per entrambe le nazioni, e uno stava per usarlo.

A quel tempo i prezzi del greggio erano attorno agli 80 dollari al barile, e tutto il mondo si aspettava una stretta nella produzione per far rialzare il prezzo a vantaggio dei produttori. E invece accade il contrario. L’Arabia Saudita è in grado di produrre più petrolio su base giornaliera di qualsiasi altro Paese, e può farlo al costo più basso per barile. Proviamo a dirla così: l’Arabia Saudita può sfidare qualsiasi nazione produttrice di petrolio al mondo in una immaginaria gara su ”chi può tenere più a lungo la testa sott’acqua senza respirare’. Più petrolio di tutti ai minori costi per estrarlo. Imbattibile

Costo medio della Russia per la produzione di petrolio, oltre i 40 dollari al barile, un po’ sotto la media globale di 50 dollari. L’Arabia Saudita, poco più di 20 dollari al barile! Industria petrolifera russa, in altre parole, è ancora in attivo, ma per un pelo, rendendo molto nervosi gli inquilini del Cremlino. I sauditi stanno colpendo due paesi in particolare: l’Iran, suo nemico mortale nel Golfo e quinto maggior produttore di petrolio del mondo, e la Russia, alleato dell’Iran sciita e sostenitore con Teheran del siriano Bashar Assad (sciita alawita), che i sauditi detestano e vogliono far cadere.

Gioco pesante. Con qualche rischio anche per Riyadh su una risposta da parte del Cremlino o di Teheran. E non nella forma di una nota diplomatica. Lo Yemen già qualcosa dice. Pesa anche il fatto ormai accertato di fondi sauditi (privati, dicono) a sostegno di ISIS in Iraq e in Siria mentre Teheran sostiene le milizie sciite contro il Califfato juadista sunnita. Gran confusione tra ‘buoni e cattivi’ con qualche malizia soprattutto a Washington rispetto alle Petromonarchie sunnite e alle loro ‘amicizie’ nella jihad . Con il petrolio che è ormai parte integrante di un mix altamente combustibile. Ovunque.

Il calo precipitoso del prezzo del petrolio ricorda il crollo dell’Unione Sovietica, innescato 30 anni fa da un forte calo del prezzo del petrolio. Nel 1985 il prezzo del petrolio scese del 65 per cento. Sei anni dopo, l’Unione Sovietica, fortemente dipendente dalle entrate petrolifere (come la Russia), ha cessato di esistere. Le differenze per il Center for Analytical del governo russo: ‘Le economie dei paesi arabi sono molto più dipendenti dal prezzo del petrolio rispetto a prima. Già a prezzi di 30, 40 dollari a barile, essi finiscono in gravi difficoltà’. E la Russia è forte entità nazionale e non ideologica.

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