
L’Italia è leader mondiale nella costruzione di velivoli senza pilota e pochi lo sanno. Finmeccanica, ad esempio, attraverso la controllata Selex produce il Falco, un drone molto efficiente e adatto alle missioni di sorveglianza, rilevamento localizzazione e identificazione di bersagli, ma capace anche di missioni cosiddette ‘pericolose’. Il che significa che l’Italia sarebbe in grado di produrre anche velivoli armati. Ma, come ammesso dal ministero della Difesa, ‘dobbiamo chiedere il permesso agli americani’. Con investimenti onerosi e tecnologie che il governo Usa non intende condividere.
Eppure, è dal 2011 che l’aeronautica italiana ha ordinato negli Stati Uniti i kit che rendono possibile applicare missili Hellfire e bombe alla nostra piccola flotta di droni, composta da 6 Predator e 6 Reaper. Nel maggio 2013, Il Sole 24 Ore scriveva: ‘L’Italia alza la voce con gli Stati Uniti sui ritardi e le esitazioni di Washington nel consegnare gli armamenti per i sei droni Reaper che si aggiungono ai sei più piccoli Predator impiegati in Iraq e Libia e schierati in Afghanistan. Roma attende risposta da Washington, ma ora sembra che Obama abbia fatto promesse a Renzi riguardo alla Libia.
Su questa ipotesi, rivelazioni del Washington Post, anche l’Italia potrebbe avere accesso ai droni armati, dopo che per anni era stata esclusa dalla partita. Nel 2012, a contribuire a sbarrare la strada all’Italia era stata la potente senatrice democratica Dianne Feinstein, che guida la commissione del Senato Usa sull’intelligence. In una lettera all’allora segretario di Stato, Hillary Clinton, Dianne Feinstein sollevava dubbi sulle reali capacità dei paesi alleati di gestire questo tipo di armi. Dubbi sul livello di intelligence nel limitare vittime civili innocente’. Dopo il caso Lo Porto, per favore zitti.
Comunque gli Stati Uniti non sono più gli esclusivisti planetario dei robot killer volanti. All’expo dei prodotti industriali a Ekaterinburg, nel distretto degli Urali, è stato presentato Chirok, drone di ultimissima generazione. Una tecnologia col sistema di decollo/atterraggio innovativo che consente all’apparecchiatura di alzarsi in volo senza pista e di atterrare o decollare da terreni impervi, paludosi, allagati o innevati. È in grado di trasportare bombe, razzi o missili ad alta precisione. Può raggiungere un’altezza massima di 6.000 metri e una distanza massima dalla base di 2.500 km.
La Cina, con qualche fantasia in più e minori dati. Secondo le previsioni di Forecast International, la Cina produrrà droni per circa 5.76 miliardi di dollari nel 2023. Intanto c’è ‘Lijian’, come Pechino ha chiamato il suo primo drone da guerra invisibile. Test del nuovo tipo di aereo è stato semi clandestino. La notizia che il test era stato effettuato con successo nel sud del Paese è stata data prima da alcuni siti web poi ripresa e confermata dalla stampa ufficiale. La cronaca nel 2013 di RemoContro (http://www.remocontro.it/2013/11/23/spada-affilata-il-killer-volante-che-parla-cinese/)
Infine i Guardiani della Rivoluzione iraniani che hanno rivelato (verità incerta) di avere operativo un drone d’attacco, lo Shahed-129 (Testimone), prodotto dall’industria bellica della Repubblica Islamica. Lo ha riferito l’agenzia d’informazione dei pasdaran Sepahnews.com. Si tratta di un drone in grado di trasportare otto missili. Se impegnato in combattimento ha un’autonomia di 24 ore ed è in grado di colpire anche obiettivi in movimento. Il velivolo Shahed 129 avrebbe un raggio di azione di 2000 chilometri che lo rende in grado di raggiungere buona parte dei Paesi mediorientali.
e. r.