
Sono oltre 26 mila i morti ammazzati nel Mediterraneo negli ultimi 15 anni. Oltre mille e settecento dall’inizio del 2015. Ma la soluzione che va di moda a Bruxelles e nei corridoi di certa politica italiana è bombardare i barconi prima che partano. Un atto di guerra invece di un ponte umanitario. Come se le decine di migliaia di persone che fuggono dai loro Paesi in guerra e depredati dalle grandi corporation occidentali fossero dei banditi da arginare. La soluzione è stata bocciata con una certa ironia persino dal Vaticano: “È un’idea stranissima: ma cosa bombardano?”, ha chiesto il cardinale Antonio Maria Vegliò.
Una soluzione per bloccare i tanti omicidi in mare va trovata e al più presto. Probabilmente la decisione dell’Europa di triplicare le risorse per Triton -finora piuttosto inefficace- non porterà ai risultati sperati contro il traffico di esseri umani. Ma creare un’opinione pubblica convinta che l’immigrazione sia una questione contingente, legata solo ai barconi da distruggere è un’idea altrettanto pericolosa. Le persone non smettono di fuggire solo perché non hanno più le barche. E i trafficanti troveranno mezzi alternativi.
Da ogni sponda politica arrivano soluzioni più o meno strampalate per frenare i flussi migratori. In pochi però si fermano ad analizzarne le cause, scoprendo magari che un rimedio a lungo termine si trova pure. Fermare le guerre che anche i nostri governi hanno contribuito ad alimentare, come in Siria o in Libia, potrebbe essere già un buon passo in avanti. Ma non basta. Le ragioni di tanto disagio risalgono a politiche neocoloniali ben più invasive e radicate. Le nostre multinazionali, ad esempio, da anni rubano la terra ai legittimi proprietari, sfruttandola in nome del profitto.
Parliamo di cifre. Dal 2000 ad oggi ben tredici popolazioni di Paesi africani si sono visti sottrarre violentemente oltre 20 milioni di ettari di terreni coltivabili, pari al 55,5% delle terre dell’intero pianeta. I dati sono forniti dal World Watch Institute. Le rapine, o land grabbing per dirla all’americana, avvengono su impulso di investitori stranieri. Il primato è degli Stati Uniti, con oltre 6 milioni e 900 mila ettari di terre portate via agli abitanti locali. Seguono la Malesia e l’Indonesia, rispettivamente con 3 milioni e 600 mila e 2 milioni e 900 mila ettari.
Sudan meridionale, Repubblica Democratica del Congo, Monzambico, Congo, Liberia, Sierra Leone ed Etiopia sono i Paesi africani più colpiti dalla speculazione. Qui le multinazionali arrivano e si appropriano dei terreni come se non ci abitasse nessuno. Per queste aziende il diritto al cibo -sancito in numerose convenzioni internazionali- è un corollario normativo fastidioso e inutile. Ma i flussi migratori maggiori, guarda caso, arrivano proprio da quei Paesi. Così come pure la concentrazione dei campi profughi più grandi del mondo. Lo dice l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati.
Com’è possibile dunque fermare gli esodi di massa di queste persone semplicemente isolandoli nei loro confini? Se non hai da mangiare non smetti di farlo, semplicemente te lo vai a cercare da qualche altra parte. È quello che è successo anche agli italiani degli inizi del ‘900. Ma la nostra memoria sembra corta.
Ecco perché nel settantesimo compleanno della nostra Liberazione un pensiero va ai tanti, troppi, morti ammazzati in mare. Ai tanti che vengono rapinati delle loro terre e cacciati via a forza. Ai profughi recintati in campi sterminati, da cui provano a scappare annegando nel Mediterraneo. In questo 25 aprile un pensiero va alle migliaia di persone che sbarcano nell’Italia liberata dai nazi-fascisti e assediata ora dall’arroganza e dalla prepotenza di certo populismo becero e greve. Con l’augurio che per tutti loro arrivi presto la Liberazione.
Buon 25 aprile.