70 anni dopo l’Italia del 25 aprile doveva essere migliore

I sogni, le speranze, le lotte, le vittorie e le sconfitte, le illusioni e le delusioni, le convinzioni e i pentimenti. Percorsi di ogni singola vita che 70 anni dopo quel 25 aprile, la lotta partigiana e la Liberazione, tendono a fare bilanci. E l’Italia che sto offrendo ai miei figli, confesso, non mi piace. Tempo di bilanci ma anche di ricordi. Non so bene in che futuro sperare, ma almeno il mio passato è ricco di valori e memorie preziose. Ve ne racconto qualcuna per condividere questo 25 aprile ormai decisamente adulto coi suoi 70 anni. Età difficile.

70 anni dopo, l’Italia liberata poteva certamente essere migliore. Ma non è per colpa di coloro che allora la liberarono. Certamente, di questa Italia, ho più colpa io di mio padre, che qualcosina nella Resistenza fece. É quindi nella mia storia personale sentire molto vicina la giornata del 25 aprile. Ognuno ha alle spalle una eredità di valori. Resistenza, lotta di liberazione e antifascismo sono il lascito che ritengo importante difendere e trasmettere a mia volta. Sono stato iscritto all’Anpi sino a che il vecchio partigiano che teneva aperta la sezione non è morto. Comunque e ovunque io sia, il 25 aprile ottiene un segno di riguardo e diviene una occasione di riflessione. Una visita al sacrario personale delle cose che contano, dei valori. Anni fa a Roma, col cognato che veniva dal nord dove aveva fischiato il vento e infuriato la bufera, sono andato alla commemorazione sulla piazza del Campidoglio. Anni addietro, coi figli ancora obbedienti, furono le Fosse Ardeatine, poi porta San Paolo, e un’altra volta alla Sinagoga. Quest’anno? Vedremo: intanto m’accorgo di star scrivendo un ‘editoriale’ che somiglia troppo ad una confessione.

Nella Genova delle mie origini le occasioni del 25 aprile era davvero tante. Più volte al sacrario della Benedicta, e su tutto l’appennino e le prealpi liguri delle divisioni partigiane garibaldine. Oppure lungo l’antica via Postumia, il territorio della Brigata partigiana Pinan Cichero. Dopo la Liberazione, nel 1951, in quella vallata, il regista Carlo Lizzani girò il film “Achtung, banditi”. Neorealismo resistente con molti attori improvvisati. Il mio amico Bruno Berellini, comandante partigiano vero e poco credibile fidanzato cinematografico della giovanissima Gina Lollobrigida. Bruno fece altri due film accanto a personaggi come Marcello Mastroianni e Giulietta Masina, prima di tornare a fare il tecnico, l’operaio un po’ più elegante, alla centrale del gas. Allora accadeva questo, ed era normale che così fosse. Tra i ‘banditi’ cinematografici c’era anche Pietro Ferro, intellettuale tormentato nel film, mio capo cronista al Secolo XIX che ha provato a insegnarmi il mestiere.

A Genova, lo avrete capito, siamo orgogliosi del nostro 25 aprile. Anzi, del 24, giorno in cui i nostri padri hanno salvato da soli la città, le sue industrie e il suo porto. Il 23 l’ordine di insurrezione. Il 24 si combatte lungo tutta la Val Polcevera, la mia vallata, e il ponente operaio dei cantieri navali. Alle 19,30 il generale tedesco Gunther Meinhold, a Villa Migone, firma l’atto di resa. Le armate alleate, bloccate dai combattimenti a La Spezia, arriveranno nella Genova liberata due giorni dopo. Per la storia e per il mio orgoglio, vi propongo poche righe dell’atto di resa tedesco. «In Genova il giorno 25 aprile 1945 alle ore 19.30, tra il sig. Generale Meinhold […] e il Presidente del Comitato di Liberazione Nazionale per la Liguria, sig. Remo Scappini, assistito dall’avv. Errico Martino e dott. Giovanni Savoretti […]». Citazione testuale per richiamare l’attenzione su quel ‘Sig. Remo Scappini’, che aveva, come assistenti, un ‘avv’ e un ‘dott’. Remo Scappini, il comandante partigiano che accetta l’atto di resa di un’intera divisione tedesca, non era un ‘Signore’, era un operaio comunista, come mio padre.

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A Roma sono arrivato da adulto. Ed è a Roma, sul percorso del giornalismo senza riguardi che ho cercato di praticare, dove ho conosciuto e sono diventato amico di un altro eccezionale resistente. Si chiamava Peter Tompkins, e già nel dirvelo si capisce che non c’è più, come gran parte dei protagonisti di quella epopea. Peter era stato uno dei liberatori di Roma ed era stato un protagonista delle battaglie democratiche successive in giro per il mondo. Difficile scrivere qualche cosa su Peter che non lo faccia arrabbiare anche da morto. Difficile immaginarlo finalmente quieto. Aveva 88 anni e riusciva a far sentire te un vecchietto. Peter è l’americano più bello dentro che ho conosciuto, anche se lui non amava essere americano, soprattutto dopo la saga dei Bush. Lui era un eroe e non voleva esserlo. Lui era un ricco borghese che non voleva esserlo. Lui è stato una grande spia durante la seconda guerra mondiale e non amava le spie.

Peter Tompkins, che si è spento negli Stati Uniti mentre so che avrebbe voluto riposare qui in Italia, è stato un eroe della Resistenza italiana. Onorificenze ed attestati della nostra Repubblica, ma soprattutto, la stima di coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Scrivere di un amico, di un maestro, confonde le idee, e la sua vita incredibile non aiuta certo. Peter è nato negli Stati Uniti, ma ha trascorso gran parte della sua infanzia tra Roma e la Toscana. Sua mamma era una famosa cantante lirica e suo padre uno scultore. Scherzava con malizia sull’amicizia che aveva legato la vedette del bel canto a Bernard Shaw, di cui aveva l’arguzia. Allo scoppio della guerra mondiale, dall’università di Harvard torna in Italia come giornalista del New York Herald Tribune e poi della NBS. Nel 1941 entra nell’OSS, la struttura di spionaggio americano inventata nel corso della guerra, da cui poi nascerà la Cia.

Quando gli Alleati liberano la Sicilia, Peter sbarca clandestinamente sul litorale di Roma per coordinare l’attività delle formazioni partigiane in vista dello sbarco d’Anzio per la liberazione della Capitale. Vive da clandestino nella Roma dell’occupazione nazista del generale Kesselring, avendo come interlocutori, tra le fila partigiane, Riccardo Bauer, Giuliano Vassalli, Giorgio Amendola, Franco Malfatti, e tanti altri combattenti che non hanno visto la Liberazione. Grazie all’azione di quella cellula partigiana, ha scritto Tompkins citando documenti ufficiali americani, fu salvata la testa di ponte di Anzio. Molti del gruppo clandestino, compreso Maurizio Giglio, suo strettissimo collaboratore, finirono trucidati alle Fosse Ardeatine. Peter nel 1945 riprese a fare il giornalista. Io allora stava meditando di nascere per poi fare il giornalista accanto a Peter.

Il 'maggiore' Peter Tompkins, dell'OSS, nel 1943 clandestino a Roma

Il ‘maggiore’ Peter Tompkins, dell’OSS, nel 1943 clandestino a Roma

Sinceramente oggi avrei qualche problema a spiegare il 25 aprile e l’Italia, la sua politica, i valori della Resistenza ai molti, troppi, di quei personaggi vivi soltanto nei miei ricordi. Della mia Genova che offre oggi una scenario politico interno devastante, penso al mio amico Andrea Gallo della comunità di San Benedetto al Porto o ai tanti bei compagni e maestri di vita di quella città burbera che meritava e merita  certamente molto di più. Oppure, nel successivo mio girovagare per il mondo, penso appunto al giramondo a Peter Tompkins, americano suo malgrado. Nessuno di loro c’è più, eppure nessuno di loro è morto invano. Se noi non consentiremo che annacquino o rottamino anche la memoria del 25 aprile, festa della Liberazione. Ora e sempre Resistenza. E lo ripeterò fin che campo.

 

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