Petromonarchie in Yemen
tanti soldi poco coraggio
chiedono aiuto agli Usa

Nel golfo di Aden arrivano i nostri. Il 21 aprile, al largo delle coste del Paese naviga bene in vista una portaerei e un di cacciatorpediniere della marina americana. Nell’occasionel governo saudita ha annunciato il termine dei raid aerei contro le postazioni dei ribelli sciiti Houthi. Riad ha comunicato che gli obiettivi della campagna militare condotta con il sostegno dei Paesi della coalizione araba “Firmness Storm”, la cosiddetta ‘Tempesta decisiva’, vale a dire la distruzione dei missili balistici finiti nelle mani degli Houthi, sono stati raggiunti. Ma non tutte le parti in causa leggono gli stessi fatti.

 

Mezzi della 'Iranianavy'

Mezzi della ‘Iranianavy’

 

Per rimanere alla versione saudita, ora passa perciò alla nuova missione denominata “Restauration of Hope”, ‘Ricostruire la speranza’ b, focalizzata sulla lotta al terrorismo, sulla salvaguardia dei confini sauditi confinanti con lo Yemen e sulla ricerca di una soluzione politica per superare la crisi. Tutto molto americano, almeno nella terminologia’. Una campagna formalmente in linea con quanto stabilito dalla risoluzione 2216 del Consiglio di sicurezza dell’ONU che vieta ogni fornitura di armi ai ribelli Hourhi sciiti (colo a loro) e che giustifica la schieramento navale anti sostegno iraniano.

 

Il portavoce dell’esercito saudita, ha affermato: ‘La coalizione continuerà a contrastare le offensive dei ribelli Houthi”, senza precisare come e con quale esercito. Aggiungendo che i bombardamenti riprenderanno ‘se sarà necessario’. Il che significa che non è stato dichiarato alcun cessate il fuoco, come dimostrano i bombardamenti di questa notte sulla capitale yemenita Sanaa e sulla città portuale meridionale di Aden segnalati da Russia Today. Combattimenti sono in corso anche a Taez, Huta, la capitale della provincia di Lahj, e a Daleh. Scontri tra truppe yemenite senza sauditi in campo.

 

Nessuno ha vinto, tutto è in forse come era prima, eppure tutti applaudono. Applaude il deposto presidente yemenita Hadi da Riad, dove è stato costretto a fuggire dopo il golpe degli Houthi a fine gennaio, e promette di tornare preso in Yemen per ricostruire il Paese. Soddisfatta anche la Casa Bianca, pronta a sostenere la ripresa del dialogo politico tra le parti e ad agevolare l’arrivo di aiuti umanitari per le popolazioni colpite dal conflitto. Reazioni positive anche da Teheran, con il ministro degli Esteri che ha chiesto segua presto l’avvio del dialogo tra sciiti e governo.

 

Tutti contenti, insomma, anche se i dubbi sulle reali intenzioni dell’Arabia Saudita restano. L’annuncio del termine dell’operazione “Firmness Storm” è arrivato poche ore dopo che il Re Salman aveva ordinato il dispiegamento dei soldati della Guardia Nazionale per rafforzare i controlli lungo i confini con lo Yemen, a dimostrazione del fatto che il governo di Riad non considera affatto conclusa la guerra. Rimangono inoltre agitati i mari che costeggiano lo Yemen, con Usa e Iran che schierano navi da guerra controllandosi a distanza davvero troppo ravvicinata.

 

Vertici politico militari iraniani

Vertici politico militari iraniani

 

E poi ci sono gli Houthi. I ribelli sciiti non sembrano intenzionati a lasciare i territori conquistati in questi mesi, afferma Rocco Bellantone su LookOut. Anche se qualcuno cerca di trattare. Problema di includere nella gestione dello Stato anche la minoranza sciita e le tribù Houthi, come sovente promesso e mai mantenuto dal presidente sunnita ora rifugiato a Riad. Nuove elezioni parlamentari e presidenziali, la formazione di un nuovo governo inclusivo, la trasformazione del gruppo Houthi in un partito politico e l’organizzazione di una conferenza dei donatori per aiutare l’economia yemenita.

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