Quale polizia a indagare
su chi di loro torturava?
Un magistrato lucido
già nel 2001 del G8

Scusate se insisto, ma a me la storia della Diaz e di Bolzaneto non è mai andata giù: ecco cosa avevo scritto in un breve articolo pubblicato da Il Manifesto pochi giorni dopo i fatti del luglio 2001; ve lo sottopongo solo per dire che l’esito a Strasburgo era scontato, scontatissimo e non occorreva la sfera di cristallo per prevederlo.

Allora facevo parte dell’esecutivo nazionale di Magistratura democratica e in quella funzione avevo firmato queste considerazioni che ritengo valide ancora oggi.

 

«L’arrestato è stato tirato per i capelli; ha dovuto correre lungo un corridoio lungo il quale i poliziotti si erano allineati per farlo incespicare; è stato costretto a mettersi in ginocchio ……. ; un poliziotto gli ha mostrato il pene dicendogli “succhialo” e poi gli ha orinato addosso; è stato minacciato con un cannello da fiamma ossidrica e con una siringa…; il ricorrente ha subito delle violenze ripetute e prolungate durante numerosi giorni di interrogatorio. “

Siamo nel Cile di Pinochet, nell’Argentina di Videla o durante la “pulizia etnica” in Bosnia ?

No, siamo in Francia e si tratta di una “normale” indagine per stupefacenti, l’arrestato è un nord africano con il quale la polizia decide di usare “le maniere forti”. La descrizione dei fatti riportata non è contenuta nella denuncia del malcapitato ma nella sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato la Francia per tortura, non solo perché la sua polizia aveva commesso le violenze ma anche perché le autorità non avevano adeguatamente indagato sulla denuncia del torturato.

 

La Corte di Strasburgo deve spesso occuparsi di tortura e di altri trattamenti “inumani o degradanti”; si tratta in gran parte di casi che riguardano la Turchia e la guerra al popolo curdo, ma che a volte toccano anche paesi della civilissima Unione europea; nel 2000 anche l’Italia è stata giudicata per tortura (sentenza Labita del 6 aprile 2000) e se l’è cavata per un solo voto (nove giudici contro otto) da una condanna in relazione al comportamento degli agenti di custodia del carcere di Pianosa, quello che il Ministro Castelli vorrebbe riaprire; ed anche in quel caso la Corte ha censurato il ritardo e l’assoluta ineffettività delle indagini svolte dalla magistratura sulla denuncia del detenuto.

 

La Corte europea, nelle sue sentenze, ha ripetutamente scritto che il divieto di tortura e di trattamenti inumani non ammette deroghe, neppure in caso di lotta al terrorismo ed alla criminalità organizzata o quando un paese si trovi in situazione di emergenza, ma la verità è che la tortura da parte di chi detiene un potere, di fatto o di diritto, sulle persone arrestate o detenute continua ad essere un crimine globale, così come globale ne è – purtroppo con scarsa efficacia – la proibizione.

Vi sono (tutte ratificate e rese esecutive in Italia) la Convenzione dell’ONU del 1987 (quella che è “costata” l’estradizione a Pinochet), l’art. 3 della citata Convenzione europea del 1950 cui si è aggiunta una specifica Convenzione contro la tortura, gli Statuti dei tribunali internazionali dell’Aja e di Arusha per i crimini nella ex Iugoslavia ed in Ruanda ed ora anche l’art. 4 della Carta dei diritti dell’Unione europea proclamata a Nizza; e c’è anche l’art. 13 della Costituzione, che proibisce “ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.

 

La verità è che è gravemente carente il sistema di accertamento e verifica dei fatti denunciati, troppe volte affidato proprio alle stesse autorità dello Stato che sono sotto accusa, oppure, come davanti alla Corte europea, ad un ricorso individuale che necessariamente può essere presentato solo dopo molto tempo dai fatti e quando le vie interne di ricorso sono state tutte inutilmente esaurite.

Ecco quindi che, quando mancano accertamenti rapidi e completi da parte degli inquirenti, questi reati gravissimi contro i diritti umani restano per lo più impuniti e le sanzioni minacciate non esercitano quindi alcun deterrente.

 

I Giudici per le indagini preliminari di Genova, trasmettendo alla Procura i verbali di interrogatorio degli arrestati della notte alla Scuola Diaz con la segnalazione delle lesioni che presentavano gli “indagati per resistenza” hanno mostrato di essere sensibili a questo aspetto della vicenda, che è quello che giuridicamente appare di maggior gravità. Ora dobbiamo sperare che la risposta della Procura sia altrettanto rassicurante, con indagini rapide ed effettive.

C’è un compito di verità e di giustizia da assolvere visto che nessuna circostanza può giustificare l’accanimento fisico e morale nei confronti di chi si trova in stato di arresto o di soggezione al potere della polizia e che la credibilità internazionale del paese nella tutela dei diritti fondamentali dell’uomo verrà misurata proprio dalla capacità che dimostreranno i pubblici ministeri nel perseguire i reati che risulteranno esser stati commessi dai funzionari pubblici.

In caso contrario il rischio è che si allontani Strasburgo e si avvicini, minacciosamente, Ankara».

 

Ignazio Juan Patrone*

da Il Manifesto del 2001

(*magistrato di Cassazione)

 

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