
L’Arabia Saudita ha lanciato una operazione militare per contrastare l’avanzata dei ribelli sciiti Houthi in Yemen. Attacco la notte del 25 con i primi raid aerei contro le postazioni sciite nella capitale Sana’a. L’esercito di Riad ha mobilitato 150mila soldati e 100 caccia. Egitto, Giordania, Sudan, Pakistan, Bahrain, Kuwait, Qatar e Marocco garantiscono il sostegno a Riad. Alcuni hanno promesso l’invio di truppe di terra (Egitto, Giordania, Sudan e Pakistan), altri aerei da combattimento (Emirati Arabi Uniti, Bahrain, Kuwait, Qatar, Giordania, Marocco e Sudan). Riad ha anche l’appoggio logistico e d’intelligence da parte degli Stati Uniti. Tutto il mondo arabo sunnita contro i ribelli sciiti yemeniti e indirettamente contro Iran e mezzaluna sciita. Una Coalizione molto più compatta di quella contro i tagliagola jihadisti.
Le due parti in conflitto
Da settembre, i ribelli sciiti Houthi, sotto la guida dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh e col sostegno dell’Iran, si sono attestati nella capitale Sanaa con l’appoggio di parte delle forze armate e a gennaio hanno esautorato il presudente, il sunnita Mansour Hadi, che è a fuggito ad Aden, sulla costa meridionale.
Da allora, gli Houthi hanno fatto progressi sul campo e conquistato Taiz, terza città del Paese.
E qui è il dettaglio importante che spiega l’interesse attivo Usa e britannico.
Le forze ribelli stavamo minacciando la base militare di Al Annad, a soli 60 chilometri da Aden dove gli eserciti americano e britannico gestiscono la guerra dei droni contronAl Qaeda.
Peggio: gli Houthis, al momento hanno ancora il controllo dell’accesso al Mar Rosso e al Canale di Suez, vie di transito della maggior parte del traffico petrolifero per l’Europa.
Le cause della guerra
Gli irrisolti conflitti tribali e gli scontri tra sunniti e la minoranza sciita emarginata (il 40% della popolazione), si sommano alla crescente minaccia qaedista.
1) La condizione socio-economica disastrosa esplosa nella rivolta del 2011;
2) l’interferenza di Arabia Saudita, leader del sunnismo wahabita e guida del Consiglio di Cooperazione del Golfo, e sul fronte opposto l’Iran, interprete dello sciismo teocratico e punto di riferimento di minoranze e Paesi della stessa corrente;
3) l’alto livello militare di Al Qaeda in the Arabian Peninsula (AQAP).
Una partita tribale/religiosa praticamente inestricabile. A metà dello scorso anno, gli Houthis sciiti calano da nord sulla Capitale a chiedere rappresentanza.
Li guida Abdel Malik al-Houthi, famiglia che ha dato nome al movimento nato nel 1990 e da allora in lotta con il governo.
Il gruppo è una corrente minoritaria dello sciismo chiamata Zaydismo, da Zayd bin Alì, pronipote del Profeta Maometto e venerato dagli Zayditi come ‘5° imam illuminato’.
Tra tribù e fede
Sul pasticcio Yemen prova e metterci le mani anche l’ONU che ottiene un accordo che l’eterno presidente poi non mantiene. Questo gennaio la situazione precipita.
Abdel Malik al-Houthi guida l’assalto al Palazzo Presidenziale e conquista la capitale.
Il Presidente Hadi presenta le dimissioni e finisce solo agli arresti domiciliari.
Ancora l’Onu che dice e non ottiene. Poi il Presidente Hadi riesce a fuggire ad Aden dove, ovviamente ritira le dimissioni e fa diventare Aden, nuova capitale del Paese.
Arabia Saudita e poco dopo Emirati Arabi Uniti e Kuwait traferiscono le rispettive Ambasciate ad Aden, mentre di Vertice di pacificazione non se na parla più. Era stata decisa la guerra.
Yemen uno e trino
Nei fatti, il Paese è ora diviso in tre parti (per semplificare):
a) Area Centro-Nord ai ribelli controllati dagli Houthis sciiti;
b) zona a Sud di Sana’ (l’ex capitale) a maggioranza fedele al Presidente Hadi, sunnita;
c) Poi il pasticcio Aden, con una minoranza indipendentista non fedele al Presidente e Forze armate divise a completare il caos.
Il Ministro della Difesa, generale raggiunge Aden e sta col presidente.
Il Comandante delle Forze Speciali, Abdel Hafez al-Saqqaf dichiara fedeltà agli Houthis e tenta un’insurrezione per il controllo dell’ Esercito ma è bloccato dalle truppe del Sud fedeli ad Hadi.
L’intregralismo islamico
Il 20 marzo due kamikaze si fanno esplodere nelle moschee Badr e al-Hashoosh, nella capitale, frequentate dagli sciiti provocando la morte di 142 persone e centinaia di feriti. La strage è rivendicata dall’ ”Islamic State of Iraq and Sham”, che vuole segnalare la sua presenza anche nello Yemen.
Non è l’esercito, ma AQAP a rispondere a ISIS, a modo suo.
Due giorni dopo l’assalto alle moschee, i qaedisti di AQAP attaccano la città di Houtha, distruggono e uccidono più di 20 militari.
Contemporaneamente all’azione di AQAP, gli sciiti si scontrano a Nord con i miliziani delle tribù sunnite fra le province di Marib e al-Baydha.
Il futuro prossimo
Alla frontiera Nord con l’Arabia Saudita sono ammassati migliaia di combattenti delle tribù alleate agli Houthis.
L’Iran condanna l’attacco e chiede la cessazione dei raid aerei.
Più duro è l’intervento della Siria che definisce l’attacco una violazione di tutte le leggi internazionali e la violazione della sovranità yemenita.
Al Qaeda e Isis, campioni del jihad sunnita estremo, incassano alleati che dicevano di volerli combattere, Stati Uniti compresi.
Russia e Cina invitano a risolvere la crisi con mezzi politici ma neppurre loro ci credono.
Di fatto si tratta di una guerra tra componenti religiose islamiche a distrarre dalle contraddizioni della Coalizione anti Califfato.
Aldo Madia & redazione