
Tra gli innumerevoli articoli pubblicati dai giornali sulla crisi ucraina, mancava giusto il tentativo di giustificare “filosoficamente” la politica dell’Occidente in quest’area-chiave dell’Europa orientale. Quando dico Occidente, tuttavia, intendo soprattutto gli Stati Uniti, essendo noto che la UE è assai divisa sull’argomento, con alcuni Paesi membri che manifestano la loro perplessità un giorno sì e l’altro pure.
La suddetta giustificazione filosofica è alla fine giunta e, in Italia, è uscita il 26 gennaio sul “Corriere della sera”. A scriverla è una “strana coppia” formata dal filosofo francese del jet set Bernard-Henri Lévy –spesso chiamato BHL– e da George Soros, il celebre magnate americano di origine ungherese.
Secondo i due l’Europa deve aiutare il governo di Kiev non solo per espandere a Est la democrazia, ma anche per rafforzare se stessa. Tralasciando i ben noti dubbi circa il reale svolgimento degli eventi di piazza Maidan e il ruolo che vi ebbero (per loro stessa ammissione) i servizi segreti americani, BHL e Soros sostengono che la trasformazione in Ucraina “è il risultato di un eccezionale esperimento di democrazia partecipativa, un’avventura nobile e ammirevole per mano di un popolo che ha saputo riunire le forze e spalancare la nazione alla modernità, alla democrazia e all’Europa”.
Superfluo aggiungere che l’unico “cattivo” qui è Putin, il cui solo obiettivo sarebbe destabilizzare la nazione confinante con il chiarissimo (per loro) intento di ricostruire la defunta Unione Sovietica. Nessun cenno ai problemi delle vaste regioni orientali russofone che, anzi, trarrebbero soltanto vantaggio dall’essere inserite – anche con la forza – in una democrazia occidentale non corrotta com’era la vecchia URSS. La nuova Ucraina, proseguono gli autori, “è una democrazia partecipativa che non si affida a un unico governante, bensì a un sistema di pesi e contrappesi”.
Su Bernard-Henri Lévy non è necessario spendere molte parole, anche se sorprende che grandi quotidiani continuino a trattarlo con i guanti riservandogli grande spazio. Basti rammentare il ruolo nefasto svolto da BHL nella crisi libica, quando convinse Hillary Clinton (è lei stessa a scriverlo) che l’eliminazione di Gheddafi avrebbe consentito la nascita di una Libia democratica e vicina all’Occidente. Tutti sappiamo com’è finita quell’avventura iniziata con i raid aerei anglo-francesi.
Più interessante parlare di Soros. Nell’articolo di cui sopra si esalta infatti la “rivoluzione democratica” di Mikhail Saakashvili in Georgia. Si dà il caso che il magnate americano sia stato uno dei principali finanziatori del leader georgiano, come ora lo è del governo di Kiev. Lecito chiedersi, a questo punto, se sia così normale che quest’uomo dalle enormi risorse finanziarie abbia un ruolo tanto decisivo nella politica estera occidentale e, in particolare, americana.
Lo stesso Soros non si offende quando viene definito come grande speculatore finanziario internazionale. Nel 1992 le sue abili manovre costrinsero la pur potente Banca d’Inghilterra a svalutare la sterlina facendola uscire dallo SME. Calcoli prudenziali stimarono che nell’occasione il magnate abbia guadagnato oltre un miliardo di dollari. Nello stesso anno l’operazione venne ripetuta con la lira italiana, con una perdita di valore del 30% e la conseguente uscita dallo SME come già era toccato alla sterlina. Senza contare altre e numerose accuse di “insider trading”.
Se questi sono i difensori della democrazia, vien fatto di pensare, che il buon Dio ci protegga: ne abbiamo bisogno. Soros ha poi cercato di rifarsi una verginità politica pubblicando un libro contro il capitalismo “selvaggio” e proclamandosi seguace della teoria della “società aperta” di Karl Popper, del quale seguì alcuni corsi alla London School of Economics. Davvero difficile prenderlo sul serio. Mentre seriamente dev’essere considerata la sua vicinanza a Barack Obama, del quale ha finanziato con generosità le campagne elettorali.
Tutto allora si tiene. Il magnate appoggia e incoraggia la politica dell’attuale amministrazione USA in Ucraina, incluso il proposito di fornire al governo di Kiev maggiori armamenti, sottolineato ancora in questi giorni dal Segretario di Stato John Kerry. Conta poco che il Ministro degli Esteri tedesco Steinmeier inviti alla prudenza affermando: “sperare che più armi servano a disinnescare la crisi non è in linea con quella che è la realtà dell’Ucraina”.
Le decisioni non si prendono certo a Berlino o a Bruxelles, bensì a Washington e nelle fondazioni che Soros ha creato e finanzia. Sarebbe però opportuno che lui e BHL non venissero presentati sui grandi quotidiani come nobili difensori degli ideali liberal-democratici.