
(nella foto l’autore nella divisa da Talebano)
Daniela Benelli nel 2009 corre nelle liste Pci per le elezioni provinciali di Milano, successivamente diventa consigliere regionale lombardo (ancora eletta nelle liste Pci) poi si sposta “a sinistra” e viene eletta al Comune di Milano nelle liste di Sel, il partitino di Nichi Vendola, e il sindaco Giuliano Pisapia la nomina assessore.
Recentemente ha fatto qualcosa di sinistra, con il ricorso contro il Tar (peraltro in compagnia di Mario Capanna, per 5 anni consigliere regionale lombardo) che aveva decretato il taglio del 10% dei vitalizi degli ex consiglieri regionali (taglio peraltro solo fino al 2018).
Il vitalizio (dicesi vitalizio una rendita vita natural durante) per gli ex consiglieri regionali lombardi costerebbe alle casse della Regione (e quindi delle finanze pubbliche) qualcosa come un milione e mezzo di euro. E i prodi ex consiglieri di sinistra ritengono il 10% in meno di un vitalizio a vita come una diminutio insopportabile.
La “nuova sinistra” che avanza sta scalpitando nel Pd, e si è visto all’assemblea dei senatori con il segretario Renzi. Una quarantina di senatori si è fieramente opposta all’Italicum perché i capilista sarebbero decisi dal partito, il che è, per decisione della direzione del partito, quello che nel Pci è sempre avvenuto.
Il problema non è la questione dei capilista, anche perché gli oppositori in realtà si oppongono al cambiamento delle “regole del gioco” che durano da parecchi decenni. Con variegate “compensazioni”.
Spiace, per esempio, ricordare il caso di Corradino Mineo. In dissenso “da sinistra” con la leadership di Magri-Rossanda-Castellina quando era nel Manifesto (decenni fa), successivamente è entrato in Rai percorrendo una fulgida carriera, fino a diventare direttore di Rainews 24.
Dopo anni di questa direzione in Rai decidono di cambiare direttore (come avviene più meno sempre dopo un certo periodo, spesso lungo), ma il prode Mineo non rimane a spasso: in cambio della dolorosa rinuncia viene inserito nelle liste elettorali del Pd per il Senato e diventa senatore.
Un sistema –quello della “compensazione”- praticato a lungo in tutti i partiti, Pci prima e Pd poi compresi. Due giorni dopo essere eletto in Senato il battagliero Mineo è già all’opposizione della maggioranza del suo partito, quindi di Renzi. Nulla di sorprendente o insolito, peraltro: la storia parlamentare conosce molti episodi analoghi, in tutti i partiti.
Il problema, a mio parere, è che spesso le diversità di opinione –così come vengono espresse- sono poco sincere, perché rivelano un retroterra culturale molto conservatore, aldilà delle alate parole: lasciare il sistema politico italiano così come si è sviluppato nei decenni scorsi.
Renzi, di suo, infila “toppate” a ripetizione, ma almeno trasmette un messaggio che non sembra da respingere: la prima repubblica va cambiata, resa più agile e moderna, meno anchilosata (vedi la querelle di questi giorni sulle banche popolari, oppure l’opposizione di sindacati e burocrazie alla ricollocazione del personale in esubero delle Province in altre amministrazioni, ecc.) e schiava della mentalità per cui i problemi si risolvono con l’aumento dell’impiego pubblico.
E’ opportuno ricordare le dimensioni: più di tre milioni di dipendenti a inizio 2013, con il Lazio in testa, cioè un impiegato pubblico ogni 13,72 abitanti, in Lombardia uno ogni 23,87, in Piemonte uno ogni 19,81, in Emilia Romagna uno ogni 19,32 , in Veneto uno ogni 21,52 e poi in Sicilia uno ogni 17,35 abitanti).
Non è un caso che Carlo Cottarelli -commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica nominato dall’allora premier Enrico Letta, poi inviato da Renzi al Fondo Monetario Internazionale- abbia indicato (fonte Eurispes) tagli alla spesa per 7 miliardi nel 2014 (e bisogna ora vedere come è andata), 18,3 nel 2015 e 33,4 nel 2016 (grazie anche alla sforbiciata degli organici: 85mila tra i dipendenti pubblici e blocco del turnover).
E’ una situazione anomala? Se si guarda all’Europa vediamo che ci sono molti altri paesi nel quali la spesa per il pubblico impiego che grava maggiormente sul Pil (Danimarca, Svezia, Finlandia, Francia, Belgio, Spagna, Regno Unito) superano l’Italia con il suo 11,1%. Il problema è verificare se la qualità del servizio offerto è analogo a quello degli altri paesi. Un esempio: il rapporto dipendenti pubblici/Pil in Germania è al 7,9%, e non è difficile immaginare la diversa qualità del servizio.
Ma, come ha detto Gian Maria Fara, presidente Eurispes, “il vero problema in Italia non è tanto il numero dei dipendenti pubblici, quanto il numero dei dirigenti, che in alcuni casi può essere di uno a dieci (e, cosa da non trascurare, le donne si confermano la base di una piramide al cui vertici sono presenti quasi esclusivamente posizioni maschili).
Sorprende, a questo punto, che una sinistra che voglia essere moderna sia in realtà avvinghiata alla cultura del passato postbellico, di forte impronta democristiana.
Una vecchia cultura che rivela, purtroppo, lo sguardo rivolto all’indietro di chi pensa che il “cambiamento” si realizza fondando nuovi gruppi e/o partiti (come è avvenuto negli anni settanta).
E ora con battute indimenticabili, come quella del prode Landini che incita Cofferati a diventare lo Tsipras italiano.
In tanta confusione…meno male che c’è una persona assennata e di buon senso come Bersani.