
Caro Ennio, i “sopravvissuti” della redazione di Charlie Hebdo non rinunciano al “diritto di essere blasfemi”. Ieri, una nuova sfida. Il settimanale satirico transalpino è tornato in edicola dopo la strage di Parigi, con nuove vignette sul profeta Mohammed. La tiratura pare sia stata di tre milione di copie. Il caporedattore ha dichiarato: “Non si possono ignorare i morti, ma cercheremo di far ridere”.
Cosa dire? Come ho già fatto nei giorni scorsi, esprimo la mia condanna personale nei confronti di coloro che hanno perpetrato quell’orribile mattanza e tante altre in giro per il mondo (ad esempio, in Nigeria, dove la settimana scorsa sono morte oltre duemila persone).
Però, scusatemi amici di RemoContro, non condivido affatto la scelta del giornale satirico francese di tornare a pubblicare vignette di questo genere. Ho sempre creduto nella libertà di stampa, ma l’educazione che mi è stata impartita mi ha fatto comprendere un principio che per me è sacrosanto: “si è liberi di fare ciò che uno vuole nella misura che tale diritto non sia lesivo, cioè non provochi danno (materiale o morale) al prossimo.
C’è una linea di demarcazione che separa la libertà personale dal rispetto, e non si tratta di una censura, ma di una limitazione che la persona educata dovrebbe elaborare concettualmente. È una questione di civiltà!
In base a quale principio si deve rivendicare la propria libertà di offendere la sensibilità di una persona, o di un popolo di credenti, mancando di rispetto ai suoi simboli religiosi?
Un conto è offendere e perseguire i terroristi che hanno commesso un vero e proprio abominio, un altro è offendere gratuitamente la comunità islamica. Pubblicare vignette oltraggiose sul profeta Mohammed, solo per ostentare la libertà della satira/vignettistica in Occidente – dove presumiamo d’essere i primi della classe, in un universo di popolazioni prelogiche – è scorretto.
Questa non è libertà, ma espressione saccente di mentalità coloniale: si ritiene normale il nostro atteggiamento nei confronti del “sacro” e si considera incivile quello dei musulmani, o delle altre religioni che con il sacro si relazionano utilizzando altri codici ermeneutici.
Se da una parte è vero che nella cultura europea abbiamo coniato la celebre locuzione “scherza coi santi e lascia stare i fanti” – distinguendo e contrapponendo il sacro dal profano, sdoganando così la satira – dall’altra, è bene rammentare, che vi sono delle culture estranee a questo indirizzo, come quella islamica.
Detto questo, vorrei che poi qualcuno mi spiegasse come mai nel 2012 la sentenza dei giudici francesi di Nanterre, nel processo per direttissima contro il settimanale Closer, ha stabilito che la suddetta testata non poteva “diffondere o cedere” in alcun modo e su nessun supporto – in particolare su tablet – le foto senza veli della duchessa di Cambridge e di suo marito, per rispetto della privacy. Vale a dire: la libertà del fotoreporter finisce là dove, infrangendo la riservatezza, si danneggia il diritto della persona alla vita privata.
E allora perché un vignettista può infrangere il diritto personale/comunitario al rispetto, in una materia così sensibile come quella religiosa? Stiamo vivendo una fase delicatissima della Storia umana. Il jihadismo è la mannaia del Terzo Millennio. Esso rappresenta una minaccia globale che affligge credenti e miscredenti, cristiani e musulmani . Personalmente, non credo che la satira di Charlie Hebdo giovi alla causa della riconciliazione. È solo un modo per gettare benzina sul fuoco.