
Fanatismo e provocazione
Certo fanatismo religioso è incentrato sulla provocazione, uno dei tratti caratteristici dell’ideologia salafita su cui si reggono le cellule eversive d’estrazione islamica. Il loro intento è quello di strumentalizzare la religione per fini eversivi, attribuendo all’Occidente la responsabilità del degrado mondiale. Ecco che certa propaganda integralista sfrutta volentieri la tradizione apologetica anticolonialista e terzomondista, radicata nell’Islam, per avere presa sulle masse che soffrono spesso di arretratezza e frustrazione.
Si tratta di una strategia che ha l’obiettivo di terrorizzare chiunque si opponga al loro delirio. Un vero e proprio terrorismo psicologico, veicolato attraverso il sistema multimediale di certi paesi arabi, con l’intento di attribuire una precisa identità antagonista all’avversario. Ecco che allora l’Europa viene definita cristiana, quando invece oggi è in gran parte agnostica e laicista.
L’Islam che fu colonialista militare
Questa è la vexata quaestio che segna lo scarto tra Oriente e Occidente. Mentre nella nostra cultura si è persa la linea di demarcazione tra sacro e profano, i fautori della sharia non solo dimenticano che l’Islam è stato colonialista attraverso le sue conquiste militari, addirittura più dell’Occidente, ma soprattutto gli attribuiscono (in una rigida cornice mitologica) un’indole coercitiva e violenta.
Sebbene l’impianto teocratico dell’Islam -cioè la congiunzione tra ciò che è politico e ciò che è spirituale- sia ben sedimentato nella Umma, vale a dire nella comunità islamica globale, imputare il sorgere di tali movimenti estremisti/terroristici alla sola reazione antioccidentale o a cause quali la povertà e lo sfruttamento è riduttivo e semplicistico.
Tra integralismo e apertura
Fin dalle sue origini, l’Islam è stato attraversato ciclicamente da ondate di integralismo e di intolleranza, cui si sono alternate stagioni di grande apertura. Lo Stato islamico medievale, in alcune sue fasi, fu flessibile e tollerante. Cosa dire del sufismo che un tempo ispirava i musulmani alla pacifica convivenza?
Una duttilità che si manifestò anche nel Novecento (almeno fino agli anni Settanta) quando in Medio Oriente le donne erano libere, ad esempio, di circolare senza il velo.
Ecco perché oggi è indispensabile il contributo di musulmani che sappiano vincere le spinte intransigenti che si alimentano di un pensiero mitologico acritico, imposto mediante il monopolio culturale.
L’Islam dal Medioevo alla liberazione
È possibile soffocare culturalmente l’estremismo islamico? Circa una cinquantina di anni fa, il padre del riformismo islamico iraniano, Ali Shari’ati, affermava che il musulmanesimo si trova nel suo XIII-XIV secolo. Facendo un raffronto con la storia europea, quando il Vecchio Continente doveva ancora vedere la riforma protestante e la controriforma cattolica. Secondo Shari’ati, per superare il Medio Evo islamico i musulmani non possono pensare di saltare a pie’ pari 5 o 6 secoli, arrivando di colpo alla cultura moderna.
“Dobbiamo riformare l’Islam -scriveva l’intellettuale iraniano- rendendolo il volano di liberazione delle nostre società ancora ferme a una dimensione sociale tribale, cioè al Medio Evo dell’Oriente, mentre oggi è lo strumento usato dai reazionari per evitare il progresso e lo sviluppo sociale”. Shari’ati è morto ufficialmente per arresto cardiaco in Inghilterra nel giugno del 1977. Molti ritengono che sia stato eliminato dalla polizia segreta dello Scià.
La società civile musulmana e l’occidente
In questi anni, i paesi occidentali hanno fatto poco o niente per aiutare la società civile musulmana a uscire dall’immobilismo e sostenere politicamente e finanziariamente l’intellighenzia islamica moderata. Una sfida che deve vedere in prima fila chi fa informazione raccontando la verità dei fatti, andando al di là di ogni genere di manicheismo. Ad esempio, non si capisce come mai nell’areopago mainstream del “villaggio globale”, la stampa occidentale sia sempre così distratta rispetto ad altri scenari come quello nigeriano.
Mentre le telecamere di mezzo mondo sono puntate sul massacro perpetrato dai terroristi islamici a Parigi, i famigerati miliziani Boko Haram hanno sterminato un numero indicibile di civili. A morire da quelle parti sotto la mannaia jihadista non sono stati solo i cristiani, ma anche i musulmani. Occorre, oggi più che mai scuotere le coscienze a livello planetario, evitando ogni forma di discriminazione e dando voce a chi non ce l’ha nella consapevolezza che il giornalismo è davvero la prima forma di solidarietà.
Il dubbio finale è sulla satira
A questo proposito, si pone però un interrogativo: è prudente utilizzare la satira in un contesto geopolitico così incandescente? Tradizionalmente, l’obiettivo di questo genere letterario associato al vignettismo consiste nell’accertare quanto una società sia sufficientemente in grado di tirare la corda. La redazione di Charlie Hebdo, prescindendo dalle possibili controindicazioni determinate dal terrorismo, aveva assunto com’è noto questo indirizzo editoriale, ottenendo un risultato che -alla prova dei fatti- ha generato un fiume di sangue.
Ecco che allora il cordoglio per le vittime non può prescindere dal giudizio sull’opportunità di brandire le matite per difendere il pluralismo culturale e religioso.