I debiti 2014 a saldo 2015

Ciò che è accaduto e non doveva accadere

Ciò che doveva accadere e non è accaduto

Parliamo delle cose importanti del 2014. Quelle condivise. Perché ognuno ha il suo anno personale. Un anno buono, spero per voi; se meno buono, contiamo sul 2015 per rifarci. Le cose condivise da tutti noi quali sono state? Valutazioni /analisi ovviamente personali ma sempre utile nella riflessione critica del ‘cambio data’. Cose accadute che sarebbe stato meglio non accadessero e cose attese che invece sono mancate. Viene da pensare alla politica nazionale, o alla moralizzazione delle vita pubblica che attendono da sempre il futuro del mai.

Noi, sulla linea di RemoContro che evita il ‘già detto’ di Tg e quotidiani, cerchiamo di ragionare sul ‘Mondo’, sugli interessi planetari. O almeno continentali. Come l’Europa che aveva dichiarato il 2014 ‘anno di svolta’, e che invece s’è ritrovata sommersa dai suoi vecchi problemi economici, politici e sociali, con qualche novità guerresca sul fronte est. Qualcuno a Bruxelles fa sempre confusione tra sede Ue e quella della Nato.

Ma restiamo in casa: la questione lavoro. Disoccupazione a livelli inaccettabili nell’Europa mediterranea. Mentre lo stesso nord variegato traballa. Eppure, anche nel suo declino l’Europa rimane parte importante nel sistema globale. Anche nella crisi, l’economia dell’Unione europea è la più grande del mondo e il continente rimane un centro di commercio mondiale, di scienza e di cultura. Oggi siamo a rischio frammentazione: la Grecia e la zona Euro, il Regno Unito direttamente dall’Unione.

Analisti Usa un po’ tifosi instillano il dubbio: questa per l’Europa una crisi che passerà, o è una realtà permanente?

FUTURO (2) SITO 800

L’incubo 2015 di un’Europa preda di ritrovati nazionalismi. Come tornare alle due guerre mondiali e a quella ‘fredda’ datate secolo scorso, con la ridefinizione dei confini (gli Stati satelliti ex sovietici e ora l’Ucraina) tra la cosiddetta ‘penisola europea’ (la parte occidentale) con gli Stai Uniti rispetto alla Russia.

Secondo l’elité degli analisti Usa, la vicenda Ucraina sarebbe soltanto l’antipasto di una crisi più vasta che vorrebbero interna al pianeta Russia. Gli stessi fattori interni che avevano portato al crollo dell’Unione Sovietica. Analisi o tifoseria? Il dubbio è doveroso.

Certo si può parlare di una nuova fase storica in cui i rischi di conflitto più esteso di quanto accaduto ieri nei Balcani e oggi nell’Ucraina orientale stanno aumentando in maniera preoccupante. E anche negli Usa c’è chi pensa si debba frenare. Si parla di ‘colpo di Stato americano’ in Ucraina, anche se si cerca di minimizzare definendolo ‘il più annunciato nella storia’.

La Russia colpita dal crollo del prezzo del petrolio, dalla speculazione sul rublo e dalle sanzioni occidentali, qualcuno ricorda, resta superpotenza nucleare.

E la crisi economica 2014 non è una sua esclusiva. Per il 2015 in Europa sarà crescita zero con alcune zone in recessione. La Cina non sembra recuperare il suo tasso di crescita dal 2008. Il Giappone è in recessione. Gli Stati Uniti che galleggiavano sulla scia della crisi, hanno annunciato una crescita del 5 per cento nel terzo trimestre del 2014.

Caos, con centri economici del mondo fuori sincrono l’uno con l’altro. Globalizzazione di cosa? Teorie economiche tutte la rivedere, e non è solo accademia.

FUTURO GUERRA SITO

Poi, il ‘resto del mondo’, quel pezzo di pianeta post coloniale che abbiamo portato al terzo millennio sul disegno di confini e mix di popolazioni decisi dalle potenze coloniali europee nel secolo scorso.

Chi ama la storia cita Sir Mark Sykes e Francois Georges-Picot, i diplomatici britannico e francese che hanno ridisegnato la mappa della regione tra il Mediterraneo e la Persia dopo la prima guerra mondiale e la caduta dei tre imperi continentali europei. Allora furono inventati Libano, Giordania, Siria e Iraq. Nessun Stato Nazione. Oggi tutti quei governi sono in crisi o sono crollati, con signori della guerra che rappresentano diversi gruppi etnici o religiosi e prendono il controllo di frammenti di Paesi, cancellando quei vecchi confini artificiali.

Ecco lo ‘Stato Islamico’ che ridisegna confini tra Siria e Iraq. Saranno i governi nazionali ex coloniali a vincere o la frammentazione tribale religiosa a vincere? Potrebbe accadere che il presidente siriano Assad venga ridotto a ‘signore della guerra’ e Baghdad la capitale di un’altra fazione. Comunque sia, la forze occidentali e quel pezzo di Islam alleato nella Coalizione anti Califfato hanno molto su cui interrogarsi.

Compreso il fatto che il calo dei consumi energetici per effetto crisi e per le numerose nuove fonti di gas e petrolio, riducono l’importanza di ciò che accade in questa regione. Forse anche per questo la guerra americana contro lo Stato Islamico vola così alta, lontana.

Stati coinvolti che non si sentono Stati, popoli che non sono nazione. E la Turchia ai confini, non è più impero ma con tanta voglia di tornare ad esserlo.

 

Tags: Europa Isis Usa
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