
Quando le tragedie si inseguono le parole diventano ripetitive e inadeguate. Descrivono i fatti, a volte, ma non affrontano i sentimenti, primo tra tutti il bisogno terapeutico di avere un colpevole di qualsiasi natura su cui scaricare il nostro dolore e le nostre paure sotto forma di rabbia. Ieri ero a Genova per la mia ennesima alluvione; avevo iniziato avventurosamente nel 1970 e allora fiumi e torrenti ‘straripavano’, ma non ‘esondavano’ ancora. Oggi mi esonda l’indignazione che ti rode dentro perché non trova un ‘colpevole’ su cui riversare la mia ira, la rabbia, il dolore. Ora, tornato nel comfort e all’asciutto, leggo e mi sembrano tutte repliche scritte dello stesso telegiornale. ‘Emergenza maltempo in Italia’; ‘Il Nord in ginocchio’; ‘Torna la paura in Lombardia (Piemonte, Liguria, Italia)’; ‘Esonda il ..’; ‘Allerta in .. ‘; ‘Forti disagi ..’. Ovviamente gli affogati o i sepolti nel fango sono solo ‘dispersi’ senza neppure la dignità dell’assoluto che esprime la morte. Sono morti ad emozione edulcorata. Ora, ad esempio, ho voglia di gridare ‘Bastardi’ ma non so bene chi siano i bastardi da imprecare. Doria o Burlando o prima di loro chi? Possono essere loro i colpevoli di tanto e tale disastro?
No, non funziona. Forse non ci sarà nessun amministratore totalmente innocente ma non ci sono neppure, a portata di rabbia, dei totali colpevoli. Ora il linguaggio stesso pare deviare la percezione delle colpe e delle responsabilità: «Evento climatico», «Catastrofe naturale», «Bomba d’acqua». Ieri a Genova mi sono ritrovato in guerra. Ma una guerra stramba, più crudele della guerra con le bombe vere. Nelle guerre in cui ci si combatte, chi spara sa a chi deve mirare e chi è fatto bersaglio sa da chi deve cercare di proteggersi: insomma, i ruoli sono chiari e, soprattutto, ognuno ha il suo «Cattivo» da poter odiare, esecrare, dichiarare colpevole di tutto il male possibile. Il conto delle ‘bombe d’acqua’ che hanno ri-ammazzato Borgo Incrociati, la Valbisano, la Valpolcevera, il Tigullio, Chiavari, Voltri, od oltre appennino, nelle valli più dimenticate verso lo Scrivia, lo Stura: a chi dobbiamo presentare quel conto tanto salato? A questo punto, l’esperienza di altre guerre mi viene in aiuto. ‘Bombe d’acqua’ chiamate così soltanto per vezzo giornalistico oppure, al dissesto idrogeologico cui abbiamo abbandonato il territorio, potrebbero aggiungersi anche altri colpevoli?
Ho un amico che di mestiere fa il Generale, anche se adesso non comanda più eserciti. Ci siamo conosciuti trovandoci su fronti opposti per destino di mestiere. Lui in nome e per conto della Nato a predisporre le ‘bombe umanitarie’ sulla Jugoslavia del cattivissimo Milosevic, io dall’altra parte, nel senso del dove le bombe lanciate con tanta umanità arrivavano esplodendo e ammazzando. Sto parlando del Generale Fabio Mini, ex comandante delle forze Nato in Kosovo. E Mini questa volta ‘spara pesante’. «La guerra ambientale non è più solo un’ipotesi: è già in atto. Ma guai a dirlo: si passa per pazzi». Dunque una ipotetica ‘bomba climatica’, la nuova ‘arma di distruzione di massa’ a cui si starebbe lavorando, in gran segreto, per acquisire vantaggi inimmaginabili su scala planetaria, dice e scrive il generale. Alluvioni, terremoti, tsunami, siccità, cataclismi. Uno scenario che non è più fantascienza. Era il 1946 quando Thomas Leech, scienziato israelo-neozelandese, lavorò in Australia -fondi americani e inglesi, ci ricorda Mini- per provocare piccoli tsunami. Il successo del ‘Progetto Seal’ spaventò Leech che si fermò dopo i primi test. Nessun’altra manipolazione del clima?
Esiste la rassicurante convenzione Onu del 1977, che proibisce espressamente «l’uso militare, o di altra ostile natura, di tecniche di modificazione ambientale con effetti a larga diffusione, di lunga durata o di violenta intensità». Due considerazioni. Uno, il fatto che l’Onu ne parli ci dice che la possibilità esiste. Due, al 90% le prescrizioni Onu vengono regolarmente disattese, in particolare dai militari. Militari che, afferma il generale Mini, «hanno già la capacità di condizionare l’ambiente: tornado, uragani, terremoti e tsunami alterati o addirittura provocati dall’uomo sono una possibilità concreta». Una possibilità, ripeto, e non -per fortuna- una certezza. Quindi, l’esercizio della ‘virtù del dubbio’ anche nei confronti dell’amico Mini. Anche se, già nel 1995, uno studio dell’aeronautica militare statunitense (“Weather as a Force Multiplier: Owning the Weather in 2025”) delineava i piani da sviluppare per conseguire nell’arco di 30 anni il controllo del meteo a livello globale. Per Mini, non si parlava ancora di “possedere il clima”, ma di controllare il meteo «per esempio irrorando le nubi con ioduro d’argento, altre sostanze chimiche o polimeri, per dissolverle oppure spostarle».
Secondo il meteorologo statunitense Edward Norton Lorenz, padre della “teoria del caos”, mai avremo conoscenze sufficienti a verificare le effettive conseguenze di una modifica climatica. Lo stiamo verificando sulla pelle. Fenomeni naturali o artificiali indotti in qualche modo, fosse solo con l’inquinamento ambientale, che la collettività, la ‘società civile’ è costretta a rincorrere. Mini osserva come cose che venivano fatte con strumenti civili, oggi vengono fatte quasi esclusivamente con strumenti militari. Pensiamo a cosa accade nel controllo delle telecomunicazioni e dei sistemi di difesa. Del resto vale la regola militare del «denial of service». Negare sempre. Negare la realtà o l’evidenza, o negare -impedire- l’informazione in quanto tale. Questa è la guerra. Non so se quanto denunciato da Mini possa spiegare anche in minima parte cosa sta capitando alla mia città. Non so se le oltre 2.000 esplosioni nucleari nel sottosuolo e negli oceani possono aver provocato terremoti o se altro che ignoro può aver stravolto il clima della mia terra. Non voglio alleviare responsabilità nel dissesto colpevole del territorio, ma il sospetto di più colpevoli -alcuni innominati e non identificati- mi assale.