Ricostruire Gaza:
tra sogno e realtà
miliardi di dollari

Pochi soldi, tanti problemi, tempi infiniti

Pochi soldi rispetto alle aspettative, problemi infiniti e tempi lunghi per una ricostruzione che prevede dai 5 ai 10 anni di tempo a seconda dei periodi di apertura dei valichi ad essa dedicati.

In attesa che i 5,4 miliardi promessi venga elargiti, l’Onu ha nominato uno ‘Speciale Coordinatore per il Processo di Pace in Medio Oriente’, Robert Serry, che ha inventato un complicato meccanismo che consente a un Comitato composto da ONU, ANP ed Esercito israeliano di monitorare quantità e qualità del materiale necessario alla ricostruzione. Tutto e solo per uso civile.

 

Gaza, donne palestinesi cucinano in strada tra le maceria

Gaza, donne palestinesi cucinano in strada tra le maceria

 

I dubbi palestinesi

Una parte teme che la neonata Istituzione costituisca la legittimazione ONU del blocco di Gaza che dura dal 2007.

Nel meccanismo elaborato è prevista la presenza di 250-400 stranieri esperti in finanza, amministrazione e sicurezza, con conseguente dilatazione dei tempi per la ricostruzione.

Inoltre, si afferma il fatto che il processo di ricostruzione è guidato e diretto dall’ONU e non dall’ANP, svuotata di ogni potere in materia.

Nessun cenno, a distanza di oltre 21 anni dagli “Accordi di Oslo” (13 settembre 1993), sui punti nodali del conflitto: status di Gerusalemme, scambio territoriale per ripagare l’ANP del territorio occupato illegittimamente dai coloni e diritto di ritorno dei rifugiati palestinesi dal 1948 in avanti.

 

La Palestina, da regione a Stato

Per altre valutazioni, l’unica possibilità che si apre per il popolo palestinese verrebbe dal fatto che il Presidente dell’ANP, Mahmoud Abbas, abbia finalmente richiesto all’Assemblea Generale dell’ONU il riconoscimento dello Stato di Palestina con la fine dell’occupazione israeliana entro un termine dai 2 ai 3 anni.

Dopo anni di immobilismo e tentennamenti, dopo sette anni di divisione tra Cisgiordania e Gaza e dopo un’estenuante quanto inutile sequela di “processi di pace” il Presidente Abbas incassa i primi segnali positivi.

Nell’immediato, è la Svezia il primo Paese Ue a riconoscere la “Stato di Palestina”, come fatto da 133 altri Paesi anche se di modesto peso politico.

Sono ancora gli USA a protestare per il riconoscimento, ritenuto “prematuro”, anticipando che opporranno il veto in sede di Consiglio di Sicurezza ONU.

La posizione svedese attrae invece Gran Bretagna, il cui Parlamento vota il riconoscimento della Palestina, e la Francia che promette di farlo.

 

Da ‘Osservatore’ a Stato membro Onu

Sono passati quasi 2 anni dal voto dell’Assemblea Generale che dichiarò la Palestina Stato Osservatore con poche astensioni e il voto contrario di USA, Israele, Canada, Repubblica Ceca, Panama e la solita rete di isolette sempre in linea con la policy Usa.

Pur potendo aderire da subito a 60 Istituzioni ONU, Abbas ha aspettato quasi due anni nell’ inseguire l’ennesimo “processo di pace” USA che finisce nel nulla ed è seguito dalla quarta invasione di Gaza da parte di Tel Aviv in 8 anni (2006, 2008-2009, 2012).

I 51 giorni di guerra a Gaza e l’espansione senza sosta delle colonie spingono Abbas a minacciare, in occasione dell’Assemblea generale ONU di settembre, il ricorso alla Corte Penale Internazionale accusando Israele di violazioni della Convenzione di Ginevra.

 

Dalle macerie di Gaza

Dalle macerie di Gaza

 

Palestina, uno Stato amico anti Califfo

In un quadro politico che registra l’espansione di Daish-Isis in Siria e Iraq, colline del Golan, fattorie di Sheeva in Libano e a Kobane al confine con la Turchia, anche la ormai ‘ingessata’ questione palestinese turna a imporsi.

Si fa strada in occidente -vedi Svezia, Gran Bretagna e presto Francia- la valutazione che un condiviso e facilmente controllabile Stato Palestinese potrebbe costituire un valido scudo nel caso di mire dei jihadisti di Daish rispetto alla storica e irrisolta questione mediorientale.

 

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