
Certo fa una profonda impressione vedere la battaglia di Kobane ripresa dal lato turco del confine, peraltro a ridosso della città, e udirne il frastuono. Non sono tanto le colonne di fumo nero e il rumore delle armi a lasciare il segno.
Meraviglia piuttosto lo spettacolo, per così dire, dei soldati di Ankara e dei loro tank che assistono imperterriti al massacro, quasi fosse un film, come se la cosa non li riguardasse per nulla.
Tutti sappiamo il perché. L’autoritario premier Recep Erdogan considera i curdi (e un eventuale Kurdistan indipendente) più pericolosi dell’ISIS o IS che dir si voglia. E già questo la dice lunga sulla sua politica, ambigua ai massimi livelli.
E conferma – ma non ve n’era davvero bisogno – che le accuse del Vice-presidente USA Joe Biden (che si è poi subito scusato) e di un generale inglese sono del tutto fondate. Tra Turchia e Califfato c’è un rapporto di complicità, accentuato dal fatto che Ankara non partecipa nemmeno ai raid aerei che vedono invece coinvolti sauditi ed Emirati.
Ho letto da qualche parte che con la caduta, assai probabile, di Kobane ci sarebbe un confine diretto tra Stato Islamico e NATO. Considerazione curiosa, basata sul fatto che la Turchia è ufficialmente membro dell’Alleanza Atlantica e, anzi, suo bastione principale nella regione.
Non sarebbe forse meglio abbandonare il presente e usare il passato dicendo che lo “era”? Mi pare più corretto, visto che ha rifiutato addirittura l’uso della grande base di Incirlik per i raid e pone alla NATO condizioni capestro per un suo eventuale intervento.
C’è però un’altra domanda che incombe: che fine ha fatto l’esercito turco, uno dei più potenti del mondo e abbondantemente rifornito dagli Stati Uniti? Ha parecchie divisioni schierate al confine, proprio di fronte a Kobane, ma se ne sta totalmente inerte.
E poi un terzo quesito. Com’è riuscito Erdogan, in un lasso di tempo tutto sommato breve, a neutralizzare in maniera così completa gli alti gradi delle sue forze armate, che per decenni erano stati i custodi inflessibili dello Stato laico fondato da Ataturk e dell’avvicinamento, sia pur sempre parziale, della Turchia all’Occidente?
Da noi le anime belle s’indignavano quando i generali ricorrevano al golpe militare, il che accadeva spesso. Senza però accorgersi che era in fondo un modo per prevenire l’ascesa al potere degli islamisti.
Erdogan passava per “moderato”, e qualcuno paragonò persino il suo partito a una sorta di Democrazia Cristiana islamica, che rammentava il partito cattolico italiano. Si è poi visto com’è andata a finire.
Il destino di Kobane è dunque nelle mani di un politico afflitto da manie di grandezza, che coltiva addirittura sogni neo-ottomani. Sarà interessante vedere se reggerà questa sorta di alleanza di fatto con il Califfato.
E occorrerà pure appurare il reale grado di efficienza dell’esercito di Ankara. Un tempo era piuttosto alta, ma i generali (come la polizia) sono stati sottoposti a una drastica epurazione che li rende fedeli al nuovo padrone. Il problema, come si è ormai verificato, è che i miliziani del Califfato, in battaglia, non fanno sconti a nessuno.