
E se la sfida al mondo lanciata dalle Stato Islamico fosse la miccia di una ben più ampia guerra che già in diverse forme si combatte dalla Libia fin quasi all’Afghanistan? La Grande guerra del Medio Oriente che coinvolge direttamente Egitto, Israele, Libano, Siria, Iraq e Palestina, e indirettamente Giordania, Iran, Turchia, Qatar e Arabia Saudita?
Di quanto sta accadendo di sconvolgente nel vicino mondo arabo e musulmano non capiamo nulla perché sbagliamo l’approccio in partenza. Arroganti nell’attribuire al resto del mondo il modello europeo dei diritti individuali regolati all’interno degli ‘Stati-nazione’. Modello culturale esportato assieme alla egemonia militar-culturale sul pianeta. Ora qualcuno in occidente s’accorge dell’errore. Eppure, da tempo, dotti studiosi ci dicevano che per gli arabi, l’unità fondamentale della società è la famiglia e non l’individuo. Le famiglie poi appartengono al clan, e il clan alle tribù, e poi basta. Le ‘nazioni’ sono concetto importato. Gli europei usano l’idea di stato-nazione per esprimere identità e le divisioni tra ‘noi’ e ‘loro’, su cui si inseriscono i distinguo religiosi o razziali. Per gli arabi, il solo ‘noi’ riconosciuto e sensato è nella identità religiosa e tribale. Ecco quindi che lo ‘Stato-nazione’ da noi imposto, per loro è soltanto una regione abitata e spesso contesa tra più clan concorrenti.
Nello Stato-nazione che i paesi coloniali europei hanno chiamato Siria, comanda il clan alawita di Bashar al Assad. Una rivolta sostenuta da forze esterne mette in difficoltà gli alawiti, mentre gli insorti si dividono in clan concorrenti per identità religiosa o tribale. Qualcosa di simile a ciò che sta accadendo in Iraq dove, analogamente, non è mai esistito uno Stato-nazione, salvo l’illusione creata da re inventati e dittatori. Il dopo invasione Usa dominato dagli sciiti, i sunniti in pericolo aggregati in tribù clan o movimenti politico-religiosi, come lo Stato islamico. I curdi col loro territorio a fare da arbitri in armi. Quesito posto dall’analista Usa George Friedman, di Stratfor: gli Stati Uniti hanno il potere o l’interesse a sostenere l’antica invenzione franco-britannica e post-coloniale fatta sulle macerie dell’Impero Ottomano? Inoltre, anche se avessero un interesse, gli Stati Uniti hanno il potere di pacificare l’Iraq e la Siria? Domanda conclusiva, ma esistono ancora Iraq e Siria?
Altro fronte di dubbio sullo stesso mondo. Abd Allah, il re dell’Arabia Saudita, ha appena compiuto 90 anni e, ci ricorda Gad Lerner sul suo sito, non si sa chi comandi davvero a Riad. L’enigma di una classe dirigente incredibilmente ricca e potente che custodisce il luogo più sacro dell’Islam. L’occidente da decenni la considera un baluardo da sostenere e da armare. Perfino Israele, rileva Gad, ‘gioca di sponda con la dinastia che fronteggia l’Iran e, in contrasto col Qatar, vorrebbe debellare il movimento dei Fratelli Musulmani, tanto da isolare la stessa Hamas nella morsa di Gaza’. Eppure l’Arabia Saudita gioca su più tavoli. Il rapporto privilegiato con gli Usa assieme al finanziare un Islam salafita estremista, fondamentalista e jihadista. Le milizie del califfo godono di un indiretto ma decisivo supporto di Riad. Dubbio: l’Arabia Saudita che teme il declino degli ‘amici’ occidentali attualmente dichiarati, si tiene pronta a cavalcare una vittoria degli oscurantisti ?
L’Arabia Saudita si conferma ora, anche agli occhi degli Stati Uniti, come una delle grandi minacce alla stabilità internazionale. ‘Il più infido degli alleati dell’occidente’, lo definisce Lerner. Alleato ormai apertamente in conflitto con molti altri Paesi protagonisti nello stesso mondo islamico. Prima fra tutte la contrapposizione tra Arabia Saudita e Qatar al momento limitata a diatriba diplomatica. Obiettivo ormai dichiarato del regno di Riyad, costringere il governo di Doha all’isolamento politico nella Penisola Araba. Riyad a fare la parte più ‘moderata’ in una partita dove la semplice doppiezza diventa trasparenza. Doha che foraggia il fronte sunnita in Siria e Iraq, fornendo aiuti economici e armi tanto ai ribelli siriani quanto alle milizie jihadiste, compresa ISIS, utilizzando Al Jazeera per difendere la causa della Fratellanza tanto in Egitto quanto nel resto del Nord Africa e del Medio Oriente. Strada del dialogo difficile che si riflette direttamente sui conflitti in Siria e Iraq.
Nella sottovalutazione mondiale, quanto detto apre un altro fronte di guerra dalle potenzialità incalcolabili. Raid di caccia degli Emirati Arabi, decollati da basi in Egitto, a bombardare le milizie islamiste libiche nella zona di Tripoli. A rivelarlo è il New York Times. I due Paesi avrebbero deciso senza informare gli Usa, cosa che appare abbastanza improbabile. Cosa significa quell’intervento armato? Gli Emirati, con Egitto e Arabia Saudita, si oppongono alle milizie libiche sponsorizzate dalla Fratellanza musulmana e dal Qatar. Uno scontro circoscritto ma che concentra in sé tutte le tensioni della regione. Guido Olimpio sul Corriere della Sera ipotizza la nascita di una ‘forza di stabilizzazione araba’ su Tripoli. Il Cairo smentisce di aver partecipato ma ribadisce ‘il dovere di agire in Libia per la propria sicurezza’. E la Libia sta trasformandosi in un altro santuario di formazioni estremiste che hanno diramazioni in Tunisia, nel Sahel e che potrebbe fare da ulteriore sponda ai piani Isis.