
Troppi pochi giorni dalla uccisione a Gaza del nostro Simone Camilli per non interrogarci su cosa stia accadendo al mestiere giornalistico oltre l’immediato orrore per la decapitazione del reporter americano da parte dei folli dell’Isis.
La parola d’istinto che viene alla labbra è “Barbarie”, ed era certo voluto dai barbari nella scelta di quella esecuzione medioevale. Un militante dell’ ISIS decapita il giornalista americano James Foley Wright e ne esibisce il video al mondo a cui lancia la sfida partendo dagli Stati Uniti. Leggo su Fecebook un breve posto di Sandra Bonsanti. “La violenza che ci governa: tagliatori di teste, stupratori, sganciatori di bombe, terroristi di Stato, mafiosi e camorristi, evasori, seminatori di odio per mezzo di insulti, di disprezzo per le regole, spartitori di odio razziale e religioso, e politico..
James Foley nell’aprile 2011 era già stato rapito nell’est della Libia da un gruppo di sostenitori di Gheddafi. Nel novembre 2012 gli tocca in Siria dove l’Isis non esisteva ancora, almeno per noi gente comune. Mai una comunicazione o una richiesta di riscatto, a quel che ne sappiamo. Tant’è che l’intelligence americana aveva accusato Damasco di detenerlo in un penitenziario di Stato. Scomparsi in Siria anche Steven Joel Sotloff, e Austin Tice. Sappiamo che i giornalisti, catturati forse da bande di semplici banditi, sono stati ceduti/venduti alle formazioni jihadiste che si sono successivamente aggregate nell’Isis che oggi minaccia Iraq e mondo. Ora la folle provocazione.
Le immagini improponibili dell’esecuzione capitale in un clip di 5 minuti intitolato “Un messaggio per l’America” e pubblicato dai terroristi su You Tube. Nel filmato anche un altro giornalista americano, Steven Joel Sotloff, a sua volta rapito in Siria: «La vita di questo cittadino americano, Obama, dipende dalle tue prossime decisioni». Nel clip in cui si vede l’esecuzione (subito rimosso) compare la scritta, «Obama ha autorizzato operazioni militari contro lo Stato islamico ponendo l’America su un piano scivoloso verso un nuovo fronte di guerra contro i musulmani».
Nelle immagini successive si vede Foley in ginocchio, con indosso una tuta arancione. Accanto a lui c’è un terrorista, interamente vestito di nero e col volto coperto. Il terrorista in inglese dice: “questo è James Foley, cittadino americano.. i vostri attacchi hanno causato perdite e morte di musulmani… non combattete più contro una rivolta, noi siamo uno Stato accettato da un gran numero di musulmani in tutto il mondo. Quindi, ogni aggressione contro di noi è un’aggressione contro i musulmani e ogni tentativo da parte tua, Obama, di attaccarci, provocherà un bagno di sangue tra la tua gente”.
Perché questa follia anche comunicativa? La decapitazione di James Foley fotografa lo sconquasso di valori prodotto dall’estremismo radicale di matrice religiosa. Non conta chi sia la vittima o ciò che essa rappresenta, giornalista o operatore ricorda che la ‘prima volta’ per noi giornalisti fu con la esecuzione dell’inviato del Wall Street Journal in Pakistan, Daniel Pearl, nel 2002. Fu evidente che veniva decapitato di fronte alla telecamera per colpire con lui l’Occidente non musulmano, la libera stampa, l’informazione, gli Stati Uniti e la loro forza militare. Ed era anche ebreo, che non guastava
In realtà tutto è mutato con l’11 settembre 2001, con Al Qaeda e l’irruzione del radicalismo musulmano. Per una parte del mondo scatta allora la caccia all’occidentale in quanto tale, salvo motivate eccezioni. L’Iraq del post invasione 2003 ha ragioni concrete di odio a saldo ancora oggi. Meno facile da capire e spiegare il problema talebano in Pakistan e Afghanistan. Di fatto la discriminante religiosa conta, ma pesa soprattutto la sua strumentalizzazione per gli integralismi di fede. Da laici lo potremmo definire un problema di democrazia. Finita l’illusione di poterla esportare o imporre.