Rimpiattino con la morte per raccontare la vita

« Egli cadde … in una giornata così calma e silenziosa su tutto il fronte, che il bollettino del Comando Supremo si limitava a queste parole: “Niente di nuovo sul fronte occidentale”… »

(Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale)-

Il giornalismo di guerra è una strana cosa, ognuno che lo frequenta o lo ha frequentato, si dà una motivazione diversa. Perché la scelta di fare quel mestiere mettendo in gioco la propria vita? Non so cosa avrebbe risposto Simone. Io non ho mai saputo rispondere/rispondermi, e detesto la domanda. E mentre piango ogni nuovo lutto, odio il riproporsi di quel maledetto ‘perché’ sparato addosso dal dolore di chi rimane. E penso alla figlioletta di Simone, Luce il suo nome arabo scelto con la mamma olandese, e mi sento ladro di vita. Come se fossi stato io a rubare a Luce la sua infanzia col papà. Stesso rimorso provi anche nei confronti dei tuoi figli, per le trascorse follie di mestiere che a te, per fortuna, non hanno presentato il conto finale. Quando morirono altri colleghi, ricordo Lucchetta, Ota e D’Angelo ammazzati nella ‘mia’ Bosnia, fatti i conti dell’età di Marco e degli altri e dell’età dei figli, arrivai a pensare che sarebbe stato più giusto fossi morto io. Solidarietà dell’appartenenza un po’ folle. Condivisione di cose estreme, senza fronzoli, solo il vivere o il morire. Cose di guerra appunto. Simone e tanti altri colleghi oggi impegnati a seguire guerre sempre più piccole e crudeli. Sono loro ad essere matti o è il mondo che sta impazzendo? Simone era una persona che, vecchio lessico, ti viene da definire ‘per bene’. Oltre che professionale, anche se un po’ romantica e idealista, che viveva il giornalismo come mestiere utile, per mostrare non per mostrarsi, per proporre fatti e non tesi, possibilità e non certezze, più dubbi che verità. Fatica quotidiana, senza mai sentirsi eroe.

Dunque Simone era un giornalista romantico. Una mia ipotesi che credo sia profondamente vera. Lo chiederò ai suoi cari quando avrò il coraggio di andare ad abbracciarli. Cosa vuol dire giornalista romantico? Non è una scuola di pensiero. E’ più un modo di sentire e vivere il mestiere che oggi sta degradando e non solo per colpa sua. Non so perché Simone abbia scelto quel comune mestiere ma mi è facile immaginarlo. Diciamo che papà e tanti amici tra gli stessi vicini di casa hanno influito. Soltanto che Simone ha scelto la strada più impervia. La differenza tra una gita in montagna e la scalata. Con Pierluigi Camilli, il padre di Simone, eravamo compagni di banco alla Cronaca del Tg1, lui caposervizio io inviato. Vicini di banco, di casa e di mestiere. Camilli divenne l’importante vicedirettore della TgR Rai, mentre io giocavo a rimpiattino con le guerre per il mondo. Simone che voleva fare il giornalista doveva proprio misurarsi nella dura ‘Legione straniera’ del giornalismo, ‘free lances’ senza garanzie, o forse aveva in famiglia qualche possibile scorciatoia? Il giornalismo come mestiere ereditario è un altro dei piccoli (perché è ormai piccolo il peso del mestiere) vizi italiani. Simone non ha ereditato posti di lavoro o carriere predestinate ma certo qualche robusta idealità. Con scelte sempre controcorrente: ad esempio narrare quanto accade mettendosi fisicamente dalla parte dei ‘perdenti’, vedi a Gaza. Una pratica idealista del mestiere che fa la differenza: ciò che dovremmo, e soltanto qualche volta riusciamo, ancora ad essere.

Forse chi ha letto fin qui avrà notato che parlo di Simone immaginandolo. Un conto era il ragazzo amico delle mie figlie che vedevo sotto casa, altro il giornalista che è diventato. Quello lo scopro assieme a voi piangendo. Ora capisco anche che Simone è stato un anticipatore. Lui che per titoli di famiglia poteva ambire alla esposizione del narratore di penna o di voce, quello che appare e che lascia ad altri inseguire le immagini, sceglie il racconto più vero e assieme più difficile, quello del far parlare i fatti senza mostrare se stesso. Testimone vero, assoluto, parte terza senza tentazioni di manipolazione. Simone faceva giornalismo con telecamera, microfono e cuore. Quel giornalismo che ti impone di essere dove un fatto accade. Quello che non ti permette di mettere la tua voce da casa su immagini girate lontano non si sa da chi. Simone ha anticipato il giornalismo multimediale oggi nel mondo. Il giornalismo che in Italia fatica a crescere, schiacciato tra resistenze corporative e furberie da padroncini delle ferriere. Chi ha tutele e gode di privilegi cerca di conservarli, e il resto del mondo affondi. Ma così muore il giornalismo romantico e idealista che ha spinto tanti a giocarsi la vita o almeno la carriera per una notizia o una ‘sciocca questione di principio’. Ultima cosa rivolta a chi piangerà più a lungo di tutti noi. Nelle situazioni in cui devi frequentare la morte da vicino, con lei prendi confidenza. Ognuno a casa sua -è il patto- sino a quando non verrà il momento. Simone non l’ha sentita arrivare e certo non le ha concesso un attimo di attenzione in più del necessario.

Ciao Simone, ottima persona e bravo giornalista. Che è tanto ed è raro, credetemi.

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